Come prevedibile anche Marco Travaglio si è aggiunto alla schiera di coloro che condannano l'aggressione a Berlusconi condizionandola a molti se e ma. I distinguo cominciano a rilevarsi quando il giornalista sentenzia una ovvietà : il sentimento non fa parte della politica". E dunque il ragionamento prosegue affermando che non si può impedire di odiare un uomo politico , esattamente come sarebbe sbagliato pretendere di amarlo. Il passo in cui il ragionamento rivela il suo lato debole è il seguente:" ognuno a casa sua, nel suo intimo, è libero di odiare e di amare chi gli pare e non esiste in democrazia che i cittadini siano obbligati a amare coloro che li governano".
Ma il politico o il giornalista con la propria attività diffonde un pensiero e per questo varca il confine dell'intimità e della riservatezza domestica e trasforma l'odio politico in una vera e propria arma verso l'avversario. Travaglio fa finta di ignorare che è molto breve la distanza che separa la diffusione dell'odio attraverso la dialettica dalla violenza fisica vera e propria. Un'utile dimenticanza: perché quello dello squilibrato Massimo Tartaglia è un precedente che consente ai fomentatori di odio di autoassolversi in caso di ulteriori futuri gesti inconsulti compiuti dalla bassa manovalanza.
Se il sentimento non è una categoria della politica, lo sono invece i conflitti e la loro risoluzione. E quale categoria promuovono coloro che fanno della demonizzazione dell'avversario la loro professione?
lunedì 14 dicembre 2009
Marco Travaglio lancia il sasso dell'odio politico e nasconde la mano
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