martedì 10 novembre 2009

La candidatura di D'Alema a ministro degli esteri europeo. Per l'Italia è come prendere due piccioni con una fava


Tra breve entrerà in vigore il Trattato di Lisbona e dopo la rinuncia dell'inglese Milliband alla carica di ministro degli esteri dell'Unione Europea sembra prendere forza la possibilità che l'incarico venga affidato a Massimo D'Alema, qualora come appare probabile il ruolo di presidente del Consiglio europeo divenga appannaggio di un appartenente del gruppo dei popolari europei. Personalmente valuto in maniera positiva una eventuale designazione di Baffino. Sopratutto per l'Italia. Così ci toglieremo dai piedi per qualche anno uno dei politici più doppiogiochisti e intriganti della Seconda Repubblica. In questo senso non mi sorprende affatto che il governo Berlusconi abbia dato il via libera a colui che rappresenta il suo più grande alleato a sinistra. In Europa poi Massimino non potrà fare grandi danni: va ricordato che le decisioni all'interno dell'Ue continueranno a essere prese all'unanimità da tutti gli Stati membri per cui il ministro degli esteri sarà un portavoce della volontà comune dell'Unione Europea. Dunque il ministro degli esteri dell'Ue non potrà muovere un dito senza che gli Stati membri non abbiano prima preso le loro decisioni e ciò potrà tanto meno avvenire quando i Paesi più importanti ( Francia, Germania, Italia, Spagna, Gran Bretagna) non siano tra loro d'accordo.
Una cosa veramente positiva la candidatura D'Alema la presenta: l'appoggio della maggioranza nei confronti di un esponente dell'opposizione sembra il segnale che sulle questioni di politica estera si possono evitare le baruffe e raggiungere dei punti d'accordo bypartisan. Sulla scia di quanto accade per tutte le principali democrazie del pianeta.

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