L'affluenza alle urne inferiore al 25% degli aventi diritto non lascia adito a dubbi: il referendum elettorale è fallito. La formulazione dei quesiti troppo tecnica già in partenza faceva dubitare sull'esito positivo. Il sopravvenuto boicottaggio della consultazione da parte di molte forze politiche, motivato da nobili ragioni di difesa della democrazia ma dietro cui in realtà si nascondevano interessi particolaristici, ha dato il colpo di grazia alle residue speranze. Se queste ragioni spiegano il rovescio contingente tuttavia non fa comprendere la tendenza di fondo che ha portato l'istituto referendario a continui insuccessi dal 1997 in poi. Per un verso si registra una consolidata sfiducia dell'elettorato dovuto al fatto che in molte occasioni la volontà popolare inequivoca è stata stravolta dalle decisione prese in sede parlamentare dalla casta politica. La responsabilità civile dei magistrati, l'abolizione del ministero dell'Agricoltura, il finanziamento pubblico ai partiti, la stessa modificazione in senso maggioritario delle legge elettorale sono tutti argomenti trattati più volte da referendum con verdetti chiarissimi emessi dal popolo di cui non si è tenuto conto al momento di redigere i conseguenti provvedimenti legislativi. Infine occorrerebbe anche riformare le procedure di svolgimento di referendum: da un lato aumentano il numero di firme richieste in modo da porre all'attenzione dei cittadini solo questioni di cui già preventivamente si è accertata l'esistenza di un diffuso interesse presso l'opinione pubblica. E abbassare ( non eliminare) il quorum che nella formulazione attuale del 50%+1 degli aventi diritto favorisce l'appello alla diserzione delle urne come arma tattica dai sostenitori del NO per far fallire il referendum, sommando il proprio dissenso a chi per varie ragioni decide di astenersi.
lunedì 22 giugno 2009
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