I quattro soldati italiani deceduti in Afghanistan confermano se ce ne fosse ancora bisogno, che in quel Pease è in scena una guerra. E le possibilità di concluderla sconfitti sono sempre più altre. Appare chiara l'impossibilità di controllare un territorio così impervio con un numero limitato di uomini. A ciò si deve aggiungere l'errore strategico del leader della spedizione, Obama ,che annunciando il prossimo ritiro ha allontanato i cuori delle popolazioni locali dai soldati occidentali.
Per L'Italia si aggiunge la problematica della contraddizione con l'art 11 della Costituzione che sancisce il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. Un principio stabilito all'indomani del conflitto mondiale e della caduta del fascismo e che poteva reggere fino a quando a tutelare la nostra difesa c'erano le truppe Nato. Oggi il quadro internazionale è radicalmente mutato: venendo meno il pericolo sovietico, l'Italia ha perduto la sua rilevanza geostrategica. Il nostro Paese si è tramutato da luogo di stazionamento di truppe in fornitore di contingenti per missioni di pace in luoghi in cui l'instabilità istituzionale richiederebbe anche l'uso di mezzi e tattiche di offesa. Ma c'è il dettato costituzionale da rispettare e i politici per giustificare ogni missione debbono ricorrere a contorsionismi di cui fanno le spese i nostri soldati nel momento in cui si trovano nelle zone operative. Intendiamoci: con ogni probabilità molti dei 34 soldati periti in Afghanistan non sarebbero potuti essere salvati nemmeno avendo una maggiore chiarezza sugli obiettivi da raggiungere e sui mezzi da adottare per la missione.
Resta il nodo cruciale da risolvere una volta per tutte: o si cambia l'art 11 della Costituzione, oppure i nostri soldati è meglio lasciarli a casa.
mercoledì 13 ottobre 2010
I soldati italiani morti, la guerra afghana e l'articolo 11 della Costituzione
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