E' uno spinosissimo caso diplomatico la vicenda dei due fanti di marina italiani ( i c.d. marò) Massimo Latorre e Salvatore Girone trattenuti dalle autorità indiane dello stato di Kerala in quanto accusati di aver ucciso il 15 febbraio due pescatori locali. Restano da definire le modalità di svolgimento dell'incidente che ha coinvolto gli italiani mentre stavano svolgendo servizio antipirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie, al largo del Mar Arabico . Secondo la versione indiana i due marò avrebbero fatto fuoco contro un peschereccio locale uccidendo due pescatori dell'equipaggio. I soldati italiani invece affermano che nello scontro a fuoco si sono limitati a sparare colpi di avvertimento in direzione di uno scafo in avvicinamento alla petroliera simile a quelli utilizzati dai pirati di quelle zone.
Al di là delle contrastanti versioni rimangono dei punti fermi fondamentali per la comprensione degli avvenimenti:
il diritto internazionale. L'incidente è avvenuto in acque internazionali e i due marò hanno sparato a bordo di una petroliera battente la nostra bandiera che in quelle circostanze è a tutti gli effetti territorio italiano. Dunque la posizione sinora assunta da New Delhi è illegittima: la legge indiana non può essere applicata in quanto la giurisdizione è italiana e spetta al nostro Paese l'accertamento processuale dei fatti. La forzatura indiana, dovuta a ragioni politiche ( venire incontro alle pressioni dei nazionalisti che non vogliono indulgenze nei confronti dello straniero) resta una flagrante e inaccettabile violazione giuridica.
mancanza di una linea di comando. i due marò operavano in base a una legge italiana approvata nell'agosto dello scorso anno che presenta il grave difetto di non stabilire con chiarezza come in simili emergenze la linea di comando dovesse essere di esclusiva competenza dei militari. Ciò ha dato la possibilità al comandante della Enrica Lexie di condurre la petroliera nel porto indiano nonostante le indicazioni contrarie dei soldati italiani.
Infine il comportamento dell'armatore e del comandante della petroliera che, al di là delle lacune nella normativa italiana, deve essere comunque censurato. Se una compagnia chiede il sostegno delle forze armate per proteggere le proprie navi dagli assalti dei pirati ha poi il dovere di essere leale quando sopraggiungono gli imprevisti. In questo caso invece di allontanarsi dal luogo dell'incidente come espressamente richiesto, il comandante della petroliera forse temendo ritorsioni economiche indiane non ha saputo far di meglio che assecondare le richieste delle autorità locali consegnando loro i nostri militari. Da rilevare sotto questo aspetto le similitudini con la tragedia della Costa Concordia, il cui disastro era stato inizialmente taciuto alla capitaneria di Porto nella sua reale entità: in entrambi i casi gli armatori e l'equipaggio hanno fatto prevalere le loro egoistiche valutazioni economiche scavalcando le autorità italiane.
La posta in gioco è molto alta: il rischio di creare un pericolosissimo precedente di diritto internazionale, la capacità delle nostre autorità di tutelare i propri militari e cittadini all'estero, l'autorevolezza dello Stato italiano nei rapporti con le altre nazioni ( è lecito immaginare che qualora i protagonisti della vicenda fossero stati soldati americani, gli indiani avrebbero riposto molto della loro arrogante baldanza). E' di vitale importanza che la nostra diplomazia si muova per tutelare con forza ed efficacia i legittimi interessi italiani nella vicenda.
martedì 6 marzo 2012
Enrica Lexie: il destino dei marò in balia dei rapporti tra India e Italia
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