lunedì 23 luglio 2012

I dubbi sul piano Grilli per la riduzione del debito pubblico

Vittorio Grilli
Il piano per abbattere il debito pubblico predisposto da Vittorio Grilli rischia di essere molto meno efficace di quanto il ministro dell'economia pensi e non solo a causa dello spread che preme sempre più insistente sugli interessi dei nostri titoli di Stato.
L'intenzione è di vendere progressivamente gli immobili pubblici ( con un valore stimato tra i 300 e i 700 miliardi) in quote di circa 20 miliardi annui. Ma anche considerando che la crisi è cominciata proprio dalla bolla speculativa dell'immobiliare appare evidente come il mercato sia in una fase di stanca e il prezzo di vendita attualmente rischia di essere considerevolmente più basso ( circa il 20-25% in meno) rispetto a quanto il governo stima di incassare: in definitiva più che vendere si tratterebbe di svendere una parte dei gioielli di famiglia.
Un altro pilastro del progetto Grilli, la cessione delle municipalizzate con il loro fatturato di oltre 40 miliardi di euro, probabilmente salterà: c'è stato un referendum che ha bocciato la gestione privata dei servizi pubblici locali ( in carico proprio alla municipalizzate) e anche la Corte Costituzionale, con la sua recentissima sentenza che ha bocciato la nuova disciplina disposta dal governo Berlusconi con la manovra dell'agosto 2011, ha rammentato che le modifiche alla regolamentazione del settore non potranno in alcun modo aggirare il chiaro responso della volontà popolare

venerdì 20 luglio 2012

La lesa maestà dei costituzionalisti verso Marco Travaglio

Il giornalista Marco Travaglio si è creato abbondante fama e seguito di lettori come difensore della libertà di stampa, e per essere coerente con il suo ruolo quando qualcuno ha opinioni diverse dalle sue ci tiene a difendere la sua libertà ( non quella degli altri) buttandola sul personale. L'ultima perla libertaria del nostro eroe è un articolo intitolato "Romanzo Quirinale" pubblicato sul Fatto quotidiano del 18 luglio. Poichè le sue tesi critiche nei confronti del ricorso quirinalizio alla Corte Costituzionale contro i pm di Palermo sono state demolite da autorevoli costituzionalisti, gli incauti esperti di diritto che hanno osato contraddire l'infallibilità del Travaglio vengono ridotti al rango di (testuali parole) "corazzieri belanti che (...)dimenticano la legge, la Costituzione, perfino la decenza e il ridicolo pur di dare ragione al nuovo Re Sole intoccabile". Ma quali sono le argomentazioni che stanno alla base di un giudizio così acido e sprezzante? Travaglio comincia la sua invettiva nei confronti dell'ex presidente della Consulta Ugo de Siervo, il cui cognome viene storpiato con la consueta eleganza in De Siervi e l'altro presidente emerito Cesare Mirabelli che hanno il torto di aver posto un problema legittimo: se si ammette l'utilizzabilità delle intercettazioni indirette si può facilmente aggirare il divieto di intercettare il capo dello Stato.
Riguardo poi al trasferimento degli atti al tribunale dei ministri  così argomenta Travaglio

de Siervo aggiunge che la Procura di Palermo ha fatto “indagini interminabili” (forse dimentica che le inchieste di mafia hanno una durata massima di 2 anni, termine rispettato dai pm) e “avrebbe dovuto trasferire tutta la questione al competente Tribunale dei Ministri”, come B. chiedeva di fare per Ruby nipote di Mubarak. Lo dice pure Stefano Ceccanti del Pd (l’Unità). Forse De Siervo e Ceccanti non sanno che nessuno degli indagati è accusato di reati commessi quand’era ministro e nell’esercizio delle funzioni ministeriali, a meno di ritenere che Riina, Provenzano, Brusca, Cinà, Ciancimino jr., Dell’Utri e gli altri indagati fossero ministri ai tempi della trattativa. Si dirà: erano ministri Conso e Mancino. Certo, ma non sono indagati per la trattativa, bensì per aver mentito oggi, 20 anni dopo, da pensionati. Urge istituzione del Tribunale degli Ex-Ministri
Peccato che Ceccanti  nel suo articolo avesse già replicato a tale obiezione: "L’unica argomentazione contraria che è stata trovata è quella di sostenere che gli indagati lo sarebbero in realtà per false testimonianze di oggi, quando non sono ministri, ma è evidente a tutti che, nel caso, quelle false testimonianze si riferiscono ai reati ministeriali di allora e non sono pertanto affatto separabili da essi. 
Ma Travaglio si è evidentemente dimenticato (?????) di  riportarla. O forse aveva letto male.

Proseguendo nella lettura le argomentazioni del Travaglio appaiono ancora più sorprendenti
 Per superare l'imbarazzo di sostenere, in coro coi berluscones, l’attacco frontale di Napolitano alla Procura che indaga sulle trattative che costarono la vita a Borsellino e alla scorta nel ‘92 e a tanti cittadini innocenti nel *95, il tutto alla vigilia del ventesimo anniversario di via D’Amelio, i corazzieri di complemento minimizzano il conflitto di attribuzioni come se fosse una disputa accademico-giuridica: che sarà mai, c'è una divergenza di opinioni fa il Colle e la Procura, dovuto a un “vuoto normativo". ora la Consulta dirà chi ha ragione e tutti vivranno felici e contenti. Eh no, troppo comodo, Intanto, se ci fosse un vuoto o un’imprecisione normativa, il Quirinale avrebbe dovuto investire la Consulta con un  altro strumento: l’eccezione d'incostituzionalità della norma col buco, non il conflitto di attribuzioni in cui accusa i pm di un illecito gravissimo, da colpo di Stato: la lesione delle prerogative del Capo dello Stato.
Il sommo costituzionalista Marco Travaglio ignora che l'eccezione di incostituzionalità come regolata dall'articolo 23 della legge 11 marzo 1953 n° 87, stabilisce, che essa può essere proposta nel corso di un processo e deve essere il giudice a chiederla, d'ufficio o su inziativa di una delle parti o dei pubblici ministeri ( in questo caso i pm di Palermo). In questo caso il Capo dello Stato non è parte nel processo quindi non può presentare alcuna eccezione mentre può proporre il conflitto di poteri visto che a buona ragione considera le intercettazioni una violazione dell'indipendenza della sua funzione presidenziale. Se davvero risulterà che i pm palermitani non hanno potuto distruggere le intercettazioni in virtù di un vuoto legislativo, nel corso dell'esame i giudici costituzionali non avranno problemi a rilevarlo. Ma forse Travaglio teme che i magistrati di Palermo lo abbiano fatto davvero un illecito gravissimo, la lesione alle prerogative del Presidente. Sembra che per Travaglio i magistrati che indagano sulle stragi dovrebbero essere immuni dalle conseguenze di un'eventuale violazione della Costituzione. Io la penso in maniera diametralmente opposta: i pm proprio perchè svolgono un inchiesta così delicata devono avere il massimo rispetto per la nostra Carta; a garanzia del corretto andamento del procedimento e affinchè non si ripetano i clamorosi errori del passato nella valutazione delle responsabilità penali.

Chi si aspetta il botto nel ragionamento a conclusione dell'articolo, non rimane deluso:
Nell`ansia di compiacere il Re Sole, i corazzieri grandi firme si scordano di sciogliere alcuni nodi, Li buttiamo li a futura memoria. 1 ) L’art.  90 della Costituzione stabilisce che "il Presidente della Repubblica non é responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni", ed e lui stesso a dirci che è anche il caso delle due telefonate con Mancino altrimenti non sbandiererebbe la sua irresponsabilità ai quattro venti, Ma siamo sicuri che il "prendere a cuore“ (D’Ambrosio dixit) le lagnanze di Mancino e il darsi da fare per favorirlo interferendo in un'indagine  in corso rientri tra le funzioni presidenziali? E, di grazia, quale articolo della Costituzione o quale norma dell'ordinamento lo prevede?
2) L'unica "parte" dell'inchiesta sulla trattativa che può avere interesse alla conservazione dei nastri con la voce di Napolitano e Mancino, visto che i pm li han gia definiti irrilevantit Dunque, invece di disturbare la Consulta, perché il Presidente non dice all'amico Mancino di mandare il suo avvocato ad ascoltarli e poi a chiedere al gip di distruggerli? Si rende conto che conferendo tutta quest'importanza a quelle bobine, si e consegnato mani e piedi nelle mani di un indagato per falsa testimonianza? Per svincolarsi dall'abbraccio mortale e dissipare il sospetto di ricatti e altre trattative in corso, non ce che un modo: rendere pubbliche le telefonate.
3) Napolitano si fa scudo nientemeno che di Luigi Einaudi, che secondo Repubblica lo avrebbe addirittura ‘ispirato" (gli sara apparso in sogno, nottempo). E proprio sicuro che Einaudi apprezzerebbe? Sicuro che, se gli avese telefonato un Mancino per quelle proposte indecenti, Einaudi gli avrebbe dato tanta corda, anziché staccargli il telefono in faccia? Un giorno Einaudi disse: "Non le lotte e le discussioni dovevano impaurire, mu la concordia ignava e le unanimità dei consensi?" Parole che oia suonano come un inammissibile attacco preventivo al Quirinale e ai corazzieri. Che facciamo, spediamo pure Einaudi alla Corte costituzionale?
Riguardo al punto 1) si constata che nonostante le comunicazioni tra Mancino e Napolitano siano segretate , Travaglio sembra conoscerne il contenuto: Mancino avrebbe elemosinato aiuto e Napolitano glielo avrebbe concesso. Al di là delle conoscenze reali ( in quel caso non si configura la violazione del segreto d'ufficio?) o immaginarie di Travaglio non c'è alcun intralcio alle indagini visto che per stessa ammissione dei magistrati palermitani il contenuto delle telefonate è penalmente irrilevante per il procedimento. Il punto che il nostro eroe sempre più in Travaglio continua a non voler considerare è che le comunicazioni del presidente della repubblica  non si possono intercettare a meno che non abbia commesso reati (e non è questo il caso)
Sui punti 2) e 3)  ammettiamo pure per assurdo che Napolitano sia stato così imprevidente da prestare il fianco all'indagato Mancino e che il suo riferimento a Einaudi sia del tutto fuori luogo, tali considerazioni riguarderebbero l'opportunità dei comportamenti del Capo dello Stato e non hanno nulla a che vedere con le valutazioni dei reietti costituzionalisti che invece erano di ordine giuridico e riguardavano l'ammissibilità delle intercettazioni alle comunicazioni dirette e indirette del Presidente della Repubblica.
Perchè al netto di tutto il castello mentale costruito da Travaglio il nodo centrale rimane semplice e banale: esiste un conflitto di poteri tra capo dello Stato e pm di Palermo che spetterà alla Corte Costituzionale risolvere. Ma se la Consulta dovesse dare ragione a Napolitano l'ami du peuple Marco Travaglio si è già portato avanti: i giudici sono amici o nominati del Presidente.
Dunque agli studenti di giurisprudenza d'ora in poi si insegni l'art 135 della Costituzione secondo l'interpretazione dell'esimio professor Travaglio: per diventare membri della Corte Costituzionale non serve essere magistrati, professori universitari di diritto o avvocati di comprovata competenza ed esperienza; occorre essere amici di Giorgio Napolitano.

giovedì 19 luglio 2012

Verità e Costituzione: il conflitto tra Napolitano e procura di Palermo sulla trattiva tra Stato e Mafia

Sull'utilizzo delle telefonate avvenute tra Mancino e Napolitano esiste un conflitto tra la presidenza della repubblica e i Pm di Palermo.
In cosa consiste questo conflitto istituzionale? Secondo il Quirinale va immediatamente distrutto il contenuto di quelle telefonate in quanto registrate in violazione delle prerogative del presidente della repubblica che è irresponsabile nell'esercizio della sue funzioni e secondo l'art. 7 della legge 219/89 non può essere intercettato salvo per i reati di alto tradimento e attentato alla Coastituzione previsti dall'art 90 della Costituzione, previa autorizzazione del Parlamento e solo dopo la sospensione dalla carica da parte della Corte Costituzionale; invece a parere dei magistrati poichè ad essere intercettata era l'utenza di Mancino e non quella di Napolitano, l'acquisizione delle telefonate è legittima, non è stata fatta in contrasto con quanto disposto dall'articolo 90 della Costituzione in materia di irresponsabilità del presidente della repubblica e dunque la loro valutazione e l'eventuale distruzione dovrà avvenire secondo l'iter ordinario ovverosia previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti.
Appurata l'esistenza del conflitto tra poteri dello Stato, il presidente della Repubblica non ha fatto altro che rivolgersi alla Corte Costituzionale l'organo deputato alla loro risoluzione ex articolo 134 della Carta. Tuttavia quasi ad anticipare il verdetto della Consulta un gran numero di costituzionalisti ( per citarne solo alcuni Michele Ainis, Stefano Ceccanti, Ugo De Siervo, Francesco Clementi, Cesare Mirabelli, Valerio Onida) fa notare come la tesi della legittimità dell'intercettazione indiretta appaia alquanto precaria: in questo modo si potrebbe facilmente aggirare il divieto di intercettazione, ponendo sotto indagine il maggior numero possibile di personalità con cui il Presidente della repubblica è solito avere dei contatti.
Tra l'altro poiché due indagati sulla trattativa tra Stato e mafia all'epoca dei fatti erano ministri ( Nicola Mancino, all'interno e Giovanni Conso alla giustizia) alcuni studiosi ritengono di ravvisare nel comportamento della procura palermitana anche la violazione dell'articolo 96 della Costituzione della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 in base alla quale gli atti devono essere trasmessi entro 15 giorni, «omessa ogni indagine», al cosiddetto tribunale dei ministri, che, svolta una rapida istruttoria, deve entro 90 giorni (prorogabili al massimo di altri 60) o disporre l' archiviazione, ovvero chiedere l' autorizzazione a procedere alla Camera competente.
Il sospetto instillato da alcuni giornalisti secondo cui Napolitano abbia sollevato tale conflitto perché c'è qualcosa da nascondere è semplicemente ridicolo oltre che gravemente diffamatorio per l'autorevolezza del Capo dello Stato giacché è stata la stessa procura di procura di Palermo a comunicare all'avvocatura dello Stato l'irrilevanza penale per il procedimento delle comunicazioni intercettate tra Mancino e Napolitano per cui "non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l'osservanza delle formalità di legge".
E' fondamentale  in uno stato di diritto che i magistrati non considerino un ostacolo alla loro attività il rispetto delle procedure della più importante delle leggi, la Costituzione, oltreché delle figure istituzionali come il Presidente della repubblica poste a garanzia dell'ordinamento. Senza questo rispetto qualsiasi aspirazione alla ricerca della verità dei fatti risulterebbe vana.


domenica 15 luglio 2012

Berlusconi resta il Papi della destra italiana e si ricandida a premier

In una democrazia degna di questo nome il ricambio delle forze e delle persone al potere è una necessità. Ciò comporterebbe che un uomo, dopo aver esercitato per tanti anni responsabilità di governo, si congedi e lasci spazio a facce nuove. Invece annunciando la sua intenzione di candidarsi per l'ennesima volta a premier per le prossime elezioni Berlusconi conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, di non condividere tale esigenza di rinnovamento democratico.
Il Cavaliere ripercorre i tempi della democrazia limitata della Prima Repubblica: se Andreotti è stato per sette volte presidente del Consiglio ci può essere spazio anche per lo spirito giovanile dei suoi 77 anni suonati.Dopo il miracolo italiano e il contratto con gli italiani, sembra aver esaurito l'inventiva per gli slogan patriottici: forse riciclerà per il partito il  vecchio nome Forza Italia. E ridimensiona le sue ambizioni: si candida per salvare il PDL, la sua personale creatura, il partito azienda confezionato con il cellophane a suo uso e consumo. Silvio resta il Papi della destra: non è riuscito a trasformare l'Italia in una sua proprietà e i cittadini in suoi dipendenti ma gli è mancato poco e a giudicare dalla pletora di nani e ballerine che ha salutato con giubilo la nuova discesa in campo potrà godere ancora di molti consensi. Probabilmente non abbastanza per tornare a Palazzo Chigi, ma sufficienti per continuare a curare i propri interessi personali: in definitiva l'unica cosa che l'abbia davvero interessato in questi 18 anni di agone politico.


update: 16 luglio 2012

venerdì 13 luglio 2012

Perchè Monti ha ragione sulla concertazione

In una nuova puntata dello scontro intrapreso contro i corporativismi che affliggono il nostro Paese, il premier Monti si scaglia contro gli abusi della concertazione. Il premier parla di "Esercizi profondi di concertazione in passato hanno generato i mali contro cui noi combattiamo": un giudizio impietoso ma per quanto mi riguarda assolutamente condivisibile.
In alcuni momenti la concertazione ha avuto anche riflessi positivi: la politica dei redditi del 93 ha consentito di controllare i prezzi e mantenere la competitività del sistema Paese in un periodo di grave crisi. Ma la concertazione non è stata solo la procedura che in nome dei superiori interessi generali poteva far temporaneamente compartecipare le parti sociali alle scelte politiche. La concentrazione si è tramutata in una cogestione ordinaria fatta di veti corporativi incrociati che per decenni ha impedito di affrontare nodi cruciali come quello delle pensioni e in una contrattazione continua sulla gestione delle risorse sfociata nell'abnorme incremento della cosa pubblica. E'una verità scomoda che di cui i principali beneficiari ( Confindustria e sindacati) non vogliono prendere atto ma che il presidente del Consiglio fa bene a rammentare.
In un Paese che funziona ruoli e responsabilità devono essere chiaramente delineati; e per ciò che concerne la determinazione delle politiche generali il governo può consultarsi con i rappresentanti dei gruppi sociali, ma in definitiva solo a lui deve rimanere la competenza di decidere. La concertazione nel divenire il metodo ordinario per stabilire le politiche economiche e sociali va contro questa necessità di assunzione di responsabilità si è risolta spesso in infinite e inconcludenti trattative in cui per non scontentare nessun particolarismo dei potentati si finiva per rinviare o per arrivare a mezze decisioni: ciò ha contribuito a ingessare la società italiana rendendola incapace di intraprendere quelle svolte radicali di cambiamento, della cui mancanza oggi scontiamo il peso.

domenica 8 luglio 2012

L'anomala spending review di Monti che scontenta le corporazioni e avvantaggia l'Italia

Monti la chiama spending review ma si tratta piuttosto di tagli lineari. E' questa la critica a mio parere più incisiva al decreto sulla riduzione della spesa pubblica. E' mancata quella valutazione capillare degli sprechi, vera caratteristica distintiva della spending review, ma i tagli ci sono e anche consistenti: 26 miliardi di euro con un risparmio ripartito in 4,5 miliardi per il 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e 11 miliardi per il 2014. Ciò consente di scongiurare l'aumento dell'Iva almeno fino a luglio del 2013 e di avere a disposzione 1 miliardo sia per il 2013 che per il 2014 da destinare alla ricostruzione delle zone terremotate dell'Emilia.
La bontà complessiva del provvedimento è dimostrata dalla protesta di tutte le corporazioni che stanno attaccate alle mammelle dello Stato.Assistiamo alla singolare comunanza di vedute critiche tra il presidente di Confindustria Squinzi e Camusso della CGIL, entrambi a parole preoccupati che non si faccia macelleria sociale. In realtà pensano al proprio piccolo orticello: il numero uno degli industriali è preoccupato della probabile revisione di trasferimenti di denaro pubblico alle aziende che costa ogni anno oltre 35 miliardi di euro ( fonte: Def 2012) alle tasse dei contribuenti sotto forma di incentivi, sgravi fiscali e prebende varie senza alcuna verifica sull'effettiva utilità di tali erogazioni ( per non parlare degli appalti spesso gestiti in maniera allegra inefficente dalla pubblica amministrazione);  mentre i sindacati temono le ripercussioni del taglio nel pubblico impiego (ci saranno il 20% in meno di dirigenti, il 10% degli altri dipendenti, e il blocco dei concorsi per dirigenti fino al 2015).
La riduzione di 5 miliardi del fondo sanitario andrà rimodulata per individuare dove sono realmente gli sprechi, ma è sacrosanto l'incremento dello sconto obbligatorio che farmacie e aziende praticano al Servizio sanitario (Ssn) e la riduzione del 5% nel secondo semestre 2012 della spesa per i dispositivi medici,che dal 2013 avrà un tetto del 4,8%. E pazienza se ci saranno le prevedibili proteste di farmacisti e industrie farmaceutiche e biomedicali.
Ugualmente animate da logiche particolaristiche appaiono le levate di scudi degli avvocati contro la soppressione di 37 tribunali e 38 procure e la cancellazione di 220 sezioni distaccate e di 674 sedi dei giudici di pace: la moltiplicazione degli uffici giudiziari non ha certo giovato allo snellimento dei processi. Senza dimenticarsi che la giustizia italiana costa a ciascun cittadino 67 euro l'anno , contro i 46 della Francia e i 22 della Gran Bretagna.
Da verificare invece se il rafforzamento della Consip, la centrale acquisti della pubblica ammninistrazione, consentirà di ridurre le assurde disparità di costo nelle forniture tra diversi enti pubblici.
In definitiva se è vero che si può e deve fare di più e di meglio, occorre anche rilevare i molti aspetti positivi e distinguersi da coloro che contestando sia quando si aumentano le tasse sia quando si tagliano le spese, in realtà vogliono che tutto rimanga uguale a prima.