Santa Sofia, per 1000 anni imponente basiilica cristiana con i bizantini, e per 500 anni moschea islamica sotto i turchi ottomani.
Nel Novecento quando il laico Mustafa Kemal Ataturk aveva deciso di trasformarla in un museo, Santa Sofia era diventata occasione di confronto tra religioni, ponte di dialogo tra culture.
Ora che il nuovo sultano turco Erdogan l'ha nuovamente consacrata a moschea, Santa Sofia torna elemento di incomprensione, emblema di contrapposizione. Ad Erdogan ciò che interessa è consolidare il proprio potere presso le masse islamiste che lo sostengono da anni. La folla adunata a Istanbul osanna il suo condottiero. Restano inascoltate le voci di chi si opponeva a questo atto di forza. Inutle il rammarico espresso da Papa Francesco.
L'Europa è sempre più lontana. Un nuovo muro è stato eretto tra i popoli.
Santa Sofia torna moschea. La Turchia si allontana dall'Europa.
Per vincere il coronavirus ci vuole la scienza e la buona politica
L'emergenza coronavirus è anche un'occasione per verificare la qualità della classe dirigente politica italiana e bisogna dire che in tal senso i primi segnali arrivati sono stati non proprio confortanti. Nelle immediate ore successive all'individuazione dei primi casi in Italia abbiamo assistito al presidente del Consiglio Conte che, senza avere alcuna autorità scientifica per farlo, criticava con forza l'operato dei medici dell'ospedale di Codogno che invece esendo in prima linea andrebbero sostenuti e elogiati proprio per il coraggio e la tempestività mostrati, mettendo anche a rischio la propria salute. Va detto che Conte, rendendosi conto dell'inopportunità del proprio intevento, ha poi fatto marcia indietro, limitando in parte il danno comunicativo procurato. Meno grave, ma ugualmente rilevante sul piano mediatico, lo scivolone del presidente della Regione Lombardia, Fontana che dopo aver appreso che una delle sue collaboratrici era risultata positivo al tampone per coronavirus non trovava di meglio che pubblicare sul web un video in cui annunciava di mettersi in isolamento precauzionale provvedendo anche a indossare davanti alla telecamera una mascherina protettiva. Una presa di posizione imrovvisata che andava contro le evidenze scientifiche in quanto Fontana essendo asintomatico e negativo all'esame diagnostico non aveva alcun bosogno di indossare la mascherina.
Si tratta di messaggi lanciati da autorevoli esponenti della nostra classe politica passsibili di generare confusione a inutile allarmismo in un contesto in cui con lucidità occorre trasmettere calma e dare spazio all'autorevolezza degli scienziati. Ecco perchè va invece accolta con molto favore la nomina di Walter Ricciardi a consulente del governo per l'emergenza coronavirus. Ricciardi è uno scienziato di fame internazionale, docente univrsitario di Igiene e Medicina Preventiva che ha l'espererienza e la competenza necessaria nella gestione di emergenze sanitarie. E' il profilo scientifico a cui ci si dovrebbe affidare in simili frangenti e che una politica responabile e avveduta dovrebbe supportare al fine di creare una catena di comando efficente in cui ciascuna componente, a livello di Stato centrale ed entilocali, possa lavorare con profitto per superare al meglio l'attuale criticità
Governo Conte bis: dal populismo al trasformismo
Il governo Conte bis nasce dalla paura delle elezioni che accomuna Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. Un eventuale ritorno alle urne avrebbe visto il probabile trionfo della Lega di Salvini e il contestuale ridimensionamento della due forze che ora si spartiscono la gestione dell'esecutivo (insieme alla sparuta presenza di Liberi e Uguali che ha il compito di puntellare i fragili numeri su cui si sostiene la maggioranza sopratutto in Senato). Come era prevedibile l'istinto di sopravvivenza politica ha finito per prevalere su una logica che aveva visto sinora grillini e dem contrapporsi per anni con un linguaggio dai toni esasperati e a tratti anche violenti.
A suggellare l'alleanza è la figura del premier Giuseppe Conte che con un abile manovra trasformistica è passato senza soluzione di continuità dal sostegno leghista a quello piddino. Agli occhi del presidente del Consiglio, Salvini da alleato cruciale è divenuto traditore e voltabbagana. Conte, che per 14 mesi da Palazzo Chigi ha condiviso la dura campagna di Salvini contro le ONG e contro l'immigrazione clandestina, ora ne prende le distanze facendosi interprete di un nuovo umanesimo che dovrebbe portare alla revisione dei decreti sicurezza che lui stesso poche settimane prima aveva sostenuto, ponendovi la questione di fiducia.
E' parimenti evidente la difficoltà in cui si trova Salvini: il leader leghista ha visto fallire il suo progetto di portare il Paese al voto per intascare il conseguente dividendo elettorale, ed è stato privato del Viminale, da lui trasformato in un efficace proscenio per la sua propaganda politica che dovrà proseguire dai banchi dell'opposizione. Per quanto tempo e con quale efficacia dipenderà anche dall'azione del nuovo governo che però, come già detto, nasce su presupposti di identità programmatica piuttosto fragili. Qualora la nuova maggioranza giallo-rossa non dovesse risultare all'altezza dell'arduo compito di invertire la critica situazione economica in cui versa il Paese e calmare le conseguenti tensioni sociali di cui si è nutrito il populismo sovranista, la resa dei conti sarebbe solo rimandata e Salvini recupererebbe con gli interessi il terreno che per ora appare aver perduto.
Il taglio dei parlamentari, trionfo di demagogia
La rappresentanza è il fulcro della democrazia parlamentare. Lo avevano ben presente i Costituenti che nell'originaria formulazione della Carta avevano stabilito che vi fosse un seggio per ogni 80000 abitanti alla Camera e per ogni 200000 abitanti al Senato. In questo modo si volle stabilire un legame forte e capillare tra i cittadini e i loro rappresentanti. Uno spirito che venne confermato dalla riforma che nel 1963 fissò il numero di parlamentari in 630 alla Camera e 315 al Senato, ma che viene fortemente messo in discussione dal progetto di taglio dei parlamentari ( 400 alla Camera e 200 al Senato), alimentata dall'unica giustificazione di ridurre, in misura peraltro modesta, il costo della politica.
Intendiamoci: porsi il problema di un'eventuale riduzione dei parlamentari non è un sacrilegio. Ma è profondamente sbagliato compiere una riforma strutturale dell'assetto istituzionale con l'obiettivo evidente di acquisire un po' di demagogico consenso senza porsi minimamente il problema del miglioramento della qualità delle rappresentanza politica, che richiederebbe invece una riflessione ben più ampia sul bicameralismo perfetto e sul rapporto tra Parlamento e Governo.
Congegnata in questo modo, c'è il forte rischio che l'effetto principale della riforma sia quello di rendere ancora più distante il Parlamento dai cittadini, con questi ultimi che vedrebbero indebolirsi la capacità di controllare efficacemente l'operato dei propri rappresentanti. E' la demagogia che si divora la democrazia.
La crisi del governo Conte. Verso alleanza Cinque Stelle e Pd contro Salvini?
Ammaliato dalla sirene dei sondaggi elettorali che lo danno vincente, Salvini ha deciso di far scoppiare la crisi di governo in pieno agosto. Ma forse il leader leghista non ha fatto i conti con l'istinto di sopravvivenza delle altre forze politiche. A ventilare l'ipotesi di un governo istituzionale è stato per primo Matteo Renzi, consapevole che un ritorno in tempi brevi alle urne lo vedrebbe totalmente impreparato, e soccombente anche nei rapporti di forza all'interno del suo partito. D'altro canto i Cinque Stelle non hanno alcuna intenzione di rinunciare alla loro posizione di preminenza nell'attuale Parlamento, e per questo, al di là delle smentite ufficiali. sarebbero anche disposti a prendere in considerazione un accordo con i vecchi “nemici” del Partito Democratico. E' lecito domandarsi però come un patto tra grillini e dem possa reggere nel tempo alle prove del governo. Contrastare l'ascesa di Salvini non può essere l'unica motivazione dello stare insieme al potere. Immigrazione, sviluppo economico, giustizia, ambiente, Europa: sono troppi i temi in cui le rispettive visioni appaiono poco conciliabili, quando invece occorrerebbe avere un chiaro progetto comune per guidare l'Italia.
I minibot leghisti: moneta, debito o carta straccia?
I geniali economisti della Lega avrebbero trovato la soluzione per pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese: i minibot. Cosa dovrebbero essere in concreto questi minibot ancora non è dato sapere in quanto non esiste un progetto organico sulla materia, ragion per cui per capirci qualcosa bisogna basarsi sulle indiscrezioni e sulle mezze parole. Si tratterebbe di un titolo infruttifero e a breve scadenza che al contrario dei normali tutoli di Stato ormai dematerializzati, dovrebbe essere stampato come la moneta con importi di piccolo o piccolissimo taglio ( da 10 a 100 euro).
Qualora fosse un surrogato della moneta come molti sospettano, trascurando l'aspetto della natura illegale di una moneta alternativa all'euro, bisognerebbe chiedersi chi si fiderebbe ad acccettarlo come mezzo di pagamento. Se i vari Salvini, Borghi, Bagnai, Giorgetti e tutti i signori della Lega sono così sicuri dell'efficacia dei minibot convertano il loro stipendio da parlamentari e tutti i loro risparmi in minibot e provino a farci la spesa e pagarci le bollette. Poi vediamo l'effetto che fa. Nel frattempo non ci si deve sorprendere se gli imprenditori a cui vorrebbero rifilarli oppongano qualche resistenza all'idea.
Il Tav Torino-Lione e il compito di un governo responsabile
Il Tav Torino-Lione è diventato come la nazionale di calcio: in Italia come abbiamo milioni di commissari tecnici pronti a discettare sulla formazione e il modulo migliori con cui schierare la squadra azzurra, allo stesso modo molti connazionali si sono scoperti ingegneri esperti di alta velocità ferroviaria pronti a elaborare sofisticate analisi sul tema. Il sottoscritto confessa immediatamente di non avere le competenze per valutare se, con le ultime e più recenti modifiche proposte, l'opera in questione sia o meno utile né tanto meno per discutere la fondatezza tecnica delle relative analisi costi-benefici.
Ciò premesso si deve rilevare come il Tav sia diventato sopratutto una questione politica e dunque spetta a chi ha la responsabilità dell'indirizzo politico assumere una posizione chiara. Invece proprio su tale aspetto va evidenziato come la compagine di governo stia fornendo uno spettacolo mortificante con Lega e Cinque Stelle tanto pronte a rivendicare con forza sulla stampa e sui social la bontà delle proprie opposte rispettive visioni, quanto incapaci di proporre una sintesi da tradurre poi in impegni concreti.
Comunque la si pensi, il Tav è un opera di rilevante peso strategico che si fonda su un trattato internazionale siglato con la Francia, ragion per cui la scelta di farla o meno avrà in ogni caso pesanti ricadute dal punto di vista economico, ambientale e delle relazioni che il nostro Paese spenderà a livello internazionale ed europeo. In definitiva è in gioco l'affidabilità e la credibilità dell'Italia, anche sul piano dei rapporti internazionali. Non è più tempo per i tatticismi e i giochini di bassa propaganda per cercare di guadagnare un po' di consenso in vista delle prossime elezioni. E' il momento di fare una scelta chiara e motivata. E' arrivato il momento in cui un governo serio deve decidere.
L'amor di Patria nell'era del caos globale
Qual'è il senso dell'Amor Patrio in questi anni confusi di nuovo millennio? La proposta di sostituire la festa della Liberazione del 25 aprile con la celebrazione del 4 novembre potrebbe indurre istintivamente a conferire al patriottismo accenti di chiusura nazionalista e sovranista. In realtà queste contrapposizioni appaiono strumentali a rinvigorire interessi politici di parte, e dunque a produrre maggiori divisioni di quelle che si vorrebbero evitare.
Tra il 25 aprile e 4 novembre non c'è antitesi ma un rapporto di continuità. Nel 1918 si è concluso il processo unitario con Trento e Trieste che divengono italiane; con la Liberazione dal nazifascismo si sono create le condizioni per l'affermazione nel nostro Paese della democrazia e del pluralismo. Queste due date simboleggiano contesti storici differenti in un processo che ha prodotto l'attuale Italia ed è per questo che entrambe meritano di essere ricordate. Il presidente Mattarella ricorda come l'Amore per la Patria sia quel legame che unisce Risorgimento e Resistenza. E' l'impegno per la libertà contro il dominio dallo straniero e l'oppressione della dittatura. E' l'affermazione dell'inviolabilità dei diritti dell'uomo che prevale contro l'estremismo nazionalista. E' la consapevolezza che solo un Paese con solide radici può guardare con coraggio e volontà di progresso alle sfide del mondo contemporaneo.
La propaganda maschera il flop di Salvini sulla Diciotti
Il braccio di ferro ingaggiato da Salvini con l'Europa sulla vicenda della nave Diciotti ha portato ben modesti risultati per il nostro Paese. A dispetto di quanto affermato dal ministro dell'Interno la maggior parte dei migranti sono rimasti in Italia, ospitati dalla Cei che, giova ricordarlo, è pur sempre un'organizzazione finanziata in larga parte con i soldi, anche pubblici, degli italiani.
Gli unici Stati che hanno risposto positivamente, accogliendo 20 migranti ciascuno, sono stati la cattolica Irlanda, sopratutto in virtù della mediazione vaticana, e la vicina Albania che non è neppure facente parte dell'UE.
Per il resto la prova di muscoli condotta sulla pelle di disperati ( per lo più eritrei) ha prodotto un fallimentare isolamento diplomatico. Ciò nonostante i toni di Salvini continuano a riscuotere consenso: in un Paese spaventato e incattivito dall'insicurezza, le logiche della propaganda hanno il sopravvento sulle evidenze della realtà
Dal 4 marzo al governo Conte. Pagella di una crisi istituzionale sfiorata.
Dopo quasi tre mesi vissuti sull'orlo di una crisi di nervi, l'Italia ha finalmente un governo in grado di poter operare nella pienezza delle sue funzioni. In un'altalena emotiva fatta di tatticismi, rilanci propagandistici, crisi istituzionali minacciate ma poi scongiurate, e con la prospettiva costante di un immediato ritorno alle urne è emersa con forza la figura di Sergio Mattarella.
Il presidente della Repubblica ha esercitato il suo ruolo alternando il bastone e la carota, mostrando pazienza per consentire alle forze politiche di trovare le necessarie convergenze, ma non esitando ad agitare lo spauracchio del governo tecnico per stimolarle ad assumersi le proprie responsabilità di fronte al Paese. L'episodio più controverso, su cui si sono divisi osservatori e costituzionalisti, è stato quello del rifiuto della nomina del professor Savona a ministro dell'economia a causa delle sue posizioni fortemente euroscettiche. A mio parere in tale circostanza la fermezza di Mattarella era opportuna: il presidente della Repubblica è il garante della solidità dell'ordinamento di cui l'euro è elemento strutturale. Se si voleva mettere in discussione la nostra partecipazione alla moneta unica europea bisognava farlo a partire dalla campagna elettorale,aprendo un dibattito in cui l'opinione pubblica potesse valutare in modo approfondito le conseguenze di una scelta così importante. Il piano per uscire all'improvviso dall'euro di cui il professor Savona è coautore non è compatibile con la necessità che l'Italia abbia sul tema una posizione chiara e trasparente. Le ambiguità e le incertezze possono costare molto caro , visto il pesante debito pubblico italiano e la necessità di chiedere in presto circa 400 miliardi all'anno per finanziare il funzionamento della macchina statale, a partire da servizi essenziali come la scuola, la sanità e l'ordine pubblico. Piuttosto, di fronte a una crisi così caotica il Quirinale avrebbe forse potuto essere più puntuale sul piano della comunicazione in modo da togliere qualsiasi alibi ai politici, ma nel complesso il presidente della Repubblica ha saputo garantire stabilità e autorevolezza alle istituzioni e per questo come voto si merita un bel 8.
Da segnalare anche il ruolo giocato da Carlo Cottarelli, che nella scomoda veste di presidente incaricato per pochi giorni, ha agito con discrezione e eleganza, e nel congedarsi ha ringraziato sottolineando come qualsiasi governo politico fosse meglio di un governo tecnico che traghettasse l'Italia di nuovo alle elezioni. A lui per aver mostrato uno spirito da servitore dello Stato: voto 9.
Matteo Salvini si è mosso con l'abilità di un consumato negoziatore e pur partendo da quasi la metà dei voti dei Cinque Stelle è riuscito a ritagliarsi un ruolo pesante nella squadra di governo, riservando alla Lega la scelta di ministeri chiave come gli Interni e l'Economia. Fino all'ultimo è rimasto tentato dall'opzione elettorale per monetizzare il consenso che i sondaggi davano in netta ascesa. Resta l'impressione che per lui sarà molto complicato il passaggio dalla modalità propaganda h24 a quella dello statista. Per lui voto 6,5.
Luigi Di Maio è l'autore dell'impeachement allo yogurt, scaduto 48 ore dopo essere stato proposto. Una delle scene più grottesche della storia repubblicana, dove la farsa si fa comunque preferire alla tragedia. Accortosi dello scivolone è tornato a Canossa, offrendo collaborazione a Mattarella e salvandosi in extremis con la proposta di dirottare Savona ad altro ministero. Dopo essersi mosso bene in campagna elettorale ha gestito male il post-voto. Confusionario: voto 5
Giorgia Meloni: anche lei è partita in quarta con la richiesta di impeachement per poi invertire la rotta, forse nella vana speranza di trovare all'ultimo momento uno spazio nel nascente governo. Ha replicato di Maio, con l'aggravante dell'irrilevanza. Voto 4.
Giuseppe Conte: professore e avvocato senza alcuna esperienza di incarichi politici e amministrativi, si ritrova ad essere presidente del Consiglio in un governo con due vicepresidenti piuttosto ingombranti. E' auspicabile che possa esercitare il suo ruolo come richiesto dall'articolo 95 Costituzione che gli conferisce la responsabilità della direzione della politica del governo. Saprà dirigere, o verrà diretto da Salvini e Di Maio? Nell'attesa di scoprirlo per lui un 6 di incoraggiamento.
Silvio Berlusconi: non ha nascosto il disagio per aver ceduto a Salvini la guida della coalizione di centro destra e alla fine ha dato il suo via libera alla Lega per l'alleanza di governo con i pentastellati. Ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco nella consapevolezza che un ritorno immediato al voto avrebbe fortemente penalizzato Forza Italia. Cerca di prendere tempo per sopravvivere politicamente. Voto 5,5
Partito Democratico: ostaggio delle solite divisioni interne, ha rinunciato ad esercitare qualsiasi ruolo nella crisi. Al momento la strategia politica elaborata dai suoi dirigenti è quella di mangiare i pop-corn. Voto: non pervenuto.
Sovranismo e Costituzione secondo Mattarella
L'intervento con cui Mattarella ha invitato a non cedere alle lusinghe di una narrativa sovranista inattuabile è stato criticato in quanto considerato un'indebita intromissione nel contingente dibattito politico. In realtà le considerazioni del presidente della Repubblica sono aderenti al dettato Costituzionale che agli articoli 10 e 11 rammenta il dovere della Repubblica di conformare il suo ordinamento giuridico alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e l'opportunità di acconsentire a limitazioni della sovranità funzionali alla creazione di un ordine internazionale che assicuri la Pace e la Giustizia tra le Nazioni.
Quello di Mattarella è dunque un invito a ricordare come l'indirizzo dei padri costituenti, derivato dalla necessità di smarcarsi da scelte dominate dalla retorica di potenza e autarchia fascista che condussero al disastro l'Italia, rimane tutt'oggi quanto mai valido e anzi proprio la precarietà dell'attuale scenario globale dovrebbe indurre le forze politiche a valutare sull'opportunità che il nostro Paese non sia in balia di umori propagandistici ma sappia perseguire una strategia e una collocazione internazionale frutto di scelte meditate e di lungo periodo.
L'appello di Mattarella contro la legislatura abortita
Dinanzi al gioco irresponsabile dei veti incrociati di cui la classe politica si è resa protagonista paralizzando le istituzioni, Mattarella ha rammentato i gravi rischi derivanti per il Paese da un immediato ricorso alle urne e ha contestualmente proposto una via d'uscita.
Il presidente della Repubblica ha sottolineato come andando al voto mantenendo inalterata l'attuale legge elettorale vi sarebbe un'elevata probabilità di replicare l'attuale stallo politico. Inoltre si restringerebbero i tempi per portare a discussione entro l'anno la legge di bilancio e disinnescare l'aumento dell'Iva e delle accise che avrebbe effetti recessivi per la nostra economia. Per di più un eventuale esercizio provvisorio esporrebbe le finanze pubbliche italiane ai rischi di attacco della speculazione finanziaria sui mercati internazionali. Infine l'assenza di un governo nel pieno esercizio delle sue funzioni condannerebbe l'Italia ad assistere da spettatrice alle decisioni da prendere nelle sedi internazionali e di Unione Europea, in particolare su temi caldi quali l'immigrazione e il nuovo bilancio europeo.
Mattarella ha offerto ai partiti l'alternativa di un governo di garanzia composto da personalità di spicco fuori dai giochi politici, che duri il tempo necessario a far approvare la legge di bilancio e che nel frattempo lasci salva la possibilità per gli schieramenti in Parlamento di trovare intese per costituire un governo pienamente politico.
L'immediato e sdegnoso rifiuto opposto da Cinque Stelle, Lega e Fratelli d'Italia all'iniziativa del Quirinale e il contestuale appello per un immediato ritorno al voto sono tristemente coerenti con il clima politico generale in cui la propaganda di parte appare soverchiare ogni logica di interesse nazionale. L'arte della mediazione viene travolta da un'indisponibilità al compromesso a sua volta funzionale a una narrazione del cambiamento che confligge però con una realtà politica immobile.
Le forze politiche che non riescono a far funzionare il Parlamento e non sono capaci di dare al Paese un governo tradiscono nei fatti quel mandato popolare che a parole dichiarano di voler rispettare con la loro inconcludente intransigenza. Qualora si concretizzasse lo scenario di nuove elezioni è dunque auspicabile che l'opinione pubblica eserciti con forza il proprio ruolo e chieda conto alla politica del fallimento di una legislatura mai nata.
La politica dei veti incrociati e la realtà del Paese
Salvini vorrebbe fare un governo con i Cinque stelle che però non intendono in alcun modo allearsi con Forza Italia. Berlusconi a sua volta guarda al Partito Democratico, ma è costretto a fare i conti con l'assoluta contrarietà leghista a rivolgersi allo schieramento verso le cui politiche ha fatto strenua opposizione in questi ultimi sette anni.
Sono trascorsi cinqquanta giorni dalle elezioni politiche ma la politica italiana si contorce su se stessa, sopraffatta dai veti incrociati, con un Parlamento immobilizzato dall'impossibilità di formare le commissioni, in attesa di conoscere gli equilibri tra maggioranza e opposizione ancora da definire, in un clima di perenne campagna elettorale amplificata dalle consultazioni regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia.
Il presidente Mattarella richiama le forze politiche alla responsabilità di dare un esecutivo all'Italia, rammentando le incombenze dei fragili conti pubblici e la necessità di essere pronti ad affrontare le sfide internazionali ed europee. Sinora le sollecitazioni del Quirinale non hanno sortito effetto e così si allarga la distanza tra le istituzioni e le esigenze del Paese reale
Salvini e Berlusconi, alleati diffidenti
Le elezioni per i presidenti delle due Camere hanno messo a serio rischio l'unità del centrodestra: l'intransigenza iniziale di Forza Italia sul nome di Paolo Romani come candidato alla presidenza del Senato, veniva superata dall'iniziativa di Salvini che senza consultarsi con gli alleati proponeva l'alternativa di Anna Maria Bernini. Il comunicato di Berlusconi che parlava apertamente di atto ostile e smascheramento dell'alleanza di governo tra Lega e Cinque Stelle sembrava poter condurre a una clamorosa e definitiva rottura. Poi le trattative notturne hanno portato a un riavvicinamento e alla convergenza sulla figura della Maria Elisabetta Alberti Casellati, poi eletta al più alto scranno di Palazzo Madama.
Si tratta di un episodio che tuttavia conferma le diffidenze esistenti tra Salvini e Berlusconi, con il giovane leader leghista scalpitante alla conquista di una leadership sempre più consolidata e l'ex cavaliere restio ad accettare un ruolo di secondo piano nella coalizione e timoroso di venire ulteriormente disarcionato dalle vigorose spallate dell'alleato. Resta da capire quanto potrà durare e rimanere solida una convivenza politica che già ad inizio legislatura manifesta evidenti scricchiolii.
Nel campo pentastellato Di Maio assistendo alle altrui scaramucce si è mosso con l'abilità di un consumato tattico: intuendo le iniziali resistenze ha dapprima proposto come cavallo di Troia il nome di Fraccaro per la presidenza della Camera, per poi puntare decisamente e con successo su Roberto Fico in teoria meno gradito agli avversari per il suo carattere movimentista, ma ben sapendo che la destra aveva interesse a chiudere i giochi nel timore che un eccessivo allungamento dei tempi portasse a bruciare tutti i propri candidati al Senato e a un contestale avvicinamento tra Cinque Stelle e Partito democratico.
Ora che le forze poltiche si sono annusate si apre la ben più importante partita per il governo del Paese, ma non è detto che gli accordi e i veti sinora proposti possano presentarsi inalterati. Anche perché sulla scena comparirà un nuovo determinante attore: il presidente della Repubblica Mattarella, la cui azione maieutica potrebbe risultare decisiva nel determinare il prossimo inquilino di Palazzo Chigi.
Rebus governabilità per l'Italia post voto
Il principale verdetto delle elezioni politiche 2018 è l'assenza di una chiara maggioranza parlamentare. Era ampiamente prevedibile che questo potesse essere l'esito delle urne, in virtù dell'attuale assetto tripolare del sistema politico italiano e di una legge elettorale con un impianto prevalentemente proporzionale che favoriva un'ulteriore dispersione dei voti e dei seggi. Di conseguenza occorrerà un intenso lavoro di mediazione tra i partiti sotto la regia del presidente della Repubblica affinché si possa formare un governo capace di presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia. Il successo della Lega mette Salvini alla guida del centro destra ma non sarà facile trovare i circa 50 deputati e 20 senatori mancanti. Se si guarda ai numeri il compito dovrebbe essere ancora più complicato per il Movimento Cinque stelle che nonostante la grossa affermazione con oltre il 30% dei consensi, dovrebbe andare alla ricerca di almeno altri 90 deputati e 40 senatori. L'incertezza dello scenario potrebbe restituire un ruolo decisivo ai parlamentari di un Partito Democratico pur pesantemente ridimensionato. E' forte la prospettiva di un lungo periodo di ingovernabilità: per un Paese fragile come l'Italia, reduce da una pesante crisi economica, si tratta di un rischio che forse non ci si può permettere.