Con l'eliminazione del ballottaggio dall'Italicum, la Corte Costituzionale ha restituito all'inerte classe politica un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale per entrambi i rami del Parlamento e dunque tale da consentirle in teoria di poter andare subito al voto, nonostante permangano importanti differenze ( il premio di maggioranza al 40% nella Camera, le elevate soglie di sbarramento dell'8% per la lista e del 20% per la coalizione al Senato). Nella pratica però è molto probabile che dalle urne emerga un quadro politico assai frammentato e dunque incapace di produrre maggioranze solide e governi stabili.
Sarebbe necessario che, dopo la supplenza della Consulta, la politica riprendesse il primato dell'azione e si adoperasse per correggere la legge elettorale in modo da rafforzare la prospettive di governabilità per la prossima legislatura. Sul tema le forze politiche hanno però interessi e idee molto divergenti e non sembra ci siano i presupposti per un compromesso al rialzo. Spingono per il maggioritario quelle formazioni come Lega e Pd che ritengono di avere una solida struttura a livello territoriale capace di produrre una batteria di candidati di collegio credibili. Viceversa i Cinque stelle propendono per il proprorzionale proprio perché si sentono ancora indietro nella costruzione di una classe dirigente. Anche Forza Italia appare orientata verso il proporzionale nella speranza di mantenersi centrale nel quadro politico, nonostante l'erosione di consenso avvenuta in questi ultimi anni. Emerge uno scenario in cui ogni partito si affanna a coltivare il proprio piccolo orticello, incurante delle superiori esigenze di un Paese chiamato ad affrontare le sfide di un economia da rilanciare dopo anni di recessione e di un quadro internazionale reso sempre più confuso dalla Brexit, dagli esordi in America della presidenza Trump e con alle porte le elezioni francesi e tedesche.
Dopo la Consulta cercasi legge elettorale per la governabilità
Il mestiere della politica e la trave nell'occhio della Chiesa
"Non è normale che ci siano due leggi elettorali frutto del lavoro della magistratura. Vuol dire che la politica non ha fatto il suo mestiere". Analisi perfetta quella di monsignor Galatino, segretario generale della CEI. Con qualche riserva però sull'opportunità che la predica ai politici italiani giunga proprio da quel pulpito. Anzitutto perchè le autorità ecclesiali è bene che non si occupino troppo di politica. Ma sopratutto perchè a giudicare dai continui scandali e dalle chiese sempre più desolatamente vuote di fedeli, anche il clero non sta svolgendo bene il proprio mestiere di cura delle anime. E' opportuno quindi rammentare il principio liberale della libera Chiesa in libero Stato, dove per Chiesa libera si intenda anche una Chiesa capace di scorgere prima di tutto la trave conficcata nel proprio occhio.
La Turchia nella morsa del terrorismo si affida al sultanato di Erdogan
All'indomani della cattura del responsabile della strage di Capodanno al night Reina di Istanbul occorre riflettere sui motivi per cui la Turchia nell'ultimo anno e mezzo è diventato un bersaglio primario del terrorismo con decine di attentati e oltre 100 morti complessivi. All'origine vi è la politica ambigua perseguita da Erdogan che dopo aver appoggiato i jihadisti contro Assad si è volto all'alleanza con Russia e Iran in difesa del regime siriano, lasciando Aleppo, una delle città simbolo dell'impero ottomano alla mercé dello sciismo e suscitando il risentimento di molti alleati sunniti.
Inoltre Erdogan nella sua azione di repressione dell'opposizione ha perseguito anche numerosi elementi delle forze di sicurezza che non sono state sostituite adeguatamente, rivelando di conseguenza la loro impreparazione nel prevenire e reprimere le ondate di attentati.
Nel frattempo Erdogan utilizza lo spettro della minaccia del terrorismo per giustificare il processo di modifica della costituzione in senso presidenzialista che dovrebbe portare a un ulteriore rafforzamento dei suoi poteri. Nel progetto di riforma sparisce la carica di primo ministro e il presidente della Repubblica diventa l'unico titolare della guida dell'esecutivo con l'ausilio di due vicepresidenti, vedendo aumentare in modo considerevole la possibilità di ricorrere alla decretazione d'urgenza. Erdogan guida la Turchia dal 2002 ma, qualora la riforma venisse approvata a seguito del voto nel referendum popolare, potrebbe ricandidarsi per ulteriori due mandati da presidente della durata di cinque anni ciascuno, rimanendo al potere fino al 2029. Sempre che frattempo non sopravvenga qualche ulteriore revisione della Costituzione che gli consenta di prolungare a tempo indeterminato la sua permanenza al potere.