giovedì 13 marzo 2014

La svolta di Renzi, buona ma precaria

Se riuscisse davvero a mantenere quanto ha annunciato ieri, Matteo Renzi potrebbe davvero avere cominciato a far svoltare il Paese verso l'uscita da anni di crisi. Ma rimane più di qualche dubbio sulle risorse necessarie per avere le adeguate coperture finanziarie. Entro maggio ci sarà il taglio di 10 miliardi del cuneo fiscale con la restituzione in busta paga di circa 1000 euro annui per i lavoratori dipendenti con redditi medio bassi ( con stipendi fino a 1500 euro circa). I finanziamenti dovrebbero venire con 7 miliardi dalla spending review; ma qui i conti già non tornano perchè il commissario Cottarelli aveva detto che per il 2014 sarebbero stati a disposizione solo 3 miliardi. Il resto dovrebbe venire dal risparmio sul deficit e sull'abbassamento dello spread: risorse che però per definizione non possono definirsi strutturali, dato che che non si può avere la certezza che il deficit e gli interessi sul debito rimangano sempre bassi.
Poi c'è il taglio del 10% sull'IRAP da finanziare con l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%: ma anche in questo caso se la propensione agli investimenti finanziari dovesse diminuire per il maggior carico fiscale ci troveremo senza copertura. Renzi ha fatto la scelta di destinare la maggior parte dei soldi ai dipendenti a scapito delle imprese. Le motivazioni di ricerca del consenso elettorale a poche settimane dalle europee sono evidenti e forse per favorire una migliore ripresa economica sarebbe stato opportuno un maggiore occhio di riguardo al mando produttivo che crea posti di lavoro. Comunque almeno siamo di fronte a una scelta chiara e netta che non disperde le poche risorse in mille rivoli come è stato fatto fino al recente passato.
Su questi e altri provvedimenti ( dai pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, al piano casa, allo jobs act) occorrerà conoscere i dettagli per valutare con più consapevolezza. Ma mi sento di dare credito al tentativo di ancorarsi alla ripresa già in atto ne resto dell'Europa. E' da augurarsi dunque che le misure presentate vengano in gran parte a concretizzarsi

martedì 11 marzo 2014

Dietro le quote rosa la battaglia della Casta per le poltrone in Parlamento

La questione delle quote rosa in parlamento è espressione di un mero conflitto di potere all'interno della Casta politica: le parlamentari donne le vogliono perchè così avrebbero più opportunità per mantenersi attaccate alla poltrona, e gli uomini le osteggiano per lo stesso istinto di sopravvivenza politica, non certo per misoginia.
La vera parità di genere si fa con buone leggi che favoriscano l'adeguato inserimento delle donne nel lavoro, per migliorare la compatibilità tra il ruolo di lavoratrice e quello di donna, moglie o madre all'interno della famiglie, e con una battaglia culturale che promuova il rispetto della donna in tutti gli ambiti della vita sociale e che demolisca gli stereotipi che ancora oggi ne ostacolano la piena affermazione e dignità.
E' ovvio che servirebbe anche una consistente quota di donne che siedano in Parlamento. Ma sarebbe auspicabile sopratutto che a rappresentarci ci fosse un altro tipo di donna: competente, autorevole, autenticamente emancipata, non certo le attuali parlamentari che per conquistarsi un posto al sole hanno per lo più scelto la strada dell'adulazione verso i capi dei rispettivi partiti. E per favorire ciò, occorrerebbe una ben diversa legge elettorale, non certo quel pastrocchio dell'Italicum che si sta andando ad approvare.

venerdì 7 marzo 2014

L'Italicum solo alla Camera: escamotage per evitare il voto

La scelta di far entrare in vigore solo alla Camera la nuova legge elettorale - il c.d Italicum- in attesa di attuare la trasformazione del Senato in una camera non elettiva, rende impraticabile l'ipotesi di tornare al voto prima che venga realizzata tale riforma costituzionale. Si tratta di una mostruosità politico-giuridica; ciononostante i suoi sostenitori affermano che si è trattata di una scelta obbligata perchè sarebbe stato impossibile votare per due eventuali ballottaggi. Tale giustificazione è del tutto insensata  visto che applicando l'Italicum anche al Senato nel migliore dei casi avremmo avuto una maggioranza con numeri molto ampi in entrambi i rami del parlamento, e nel peggiore dei casi si sarebbe dovuto far ricorso alle larghe intese, esattamente come è avvenuto con i governi Monti e Letta.
Al contrario le cose peggiorerebbero e di molto se la riforma del Senato non dovesse andare in porto: in questo caso al premio di maggioranza previsto alla Camera per la coalizione vincente, si contrapporrebbe un Senato eletto con metodo proporzionale puro - cioè il vecchio sistema del Porcellum depurato dalle parti cassate dalla Corte Costituzionale. La conseguenza sarebbe una frammentazione ancora più marcata di quella che abbiamo conosciuto finora, con una miriade di piccoli partitini con percentuali di consenso infinitesimali che avrebbero la possibilità di entrare al Senato, e di consguenza la probabile necessità per il governo di appoggiarsi anche su molti di loro per avere la maggioranza.
Tra l'altro non è affatto certo che si riesca davvero ad eliminare il Semato elettivo e il bicameralismo perfetto: il processo di revisione costituzionale richiede tempo e due passaggi in ciascun ramo del Parlamento per essere approvato. Nel frattempo c'è da attendersi che molti senatori cercheranno con ogni stratagemma di affossare quel progetto che qualora approvato significherebbe il loro suicidio politico.