lunedì 3 febbraio 2014

Il declino politico di Mario Monti

La figura di Mario Monti è l'esempio paradigmatico di come l'uomo di Stato spesso non riesca ad andare d'accordo con l'uomo politico. Nella sua attività da presidente del Consiglio Monti ha fatto cose molto migliori di chi lo ha preceduto, salvaguardando i conti pubblici dalla crescita dei tassi di interesse sul debito che rischiava di alzarsi in maniera incontrollata, introducendo una riforma pensionistica che pur imperfetta e con il grave costo sociale degli esodati ha reso il sistema previdenziale sostenibile con il passaggio definitivo al contributivo e con l'eliminazione delle pensioni di anzianità, e restituendo all'Italia prestigio internazionale.
Monti ha fatto quel lavoro sporco, lasciato in arretrato dai politici di professione in cerca di facile e immediato consenso. Le sue misure erano impopolari tanto più in un contesto di crisi economica. In più la scelta di compagni di viaggio oramai logorati come Casini e Fini non ha giovato a rendere appetibile il suo progetto politico. Al momento del voto gli italiani hanno scelto o i tradizionali schieramenti o l'alternativa protestataria di Grillo. Successivamente il suo movimento Scelta Civica si è anche mostrato litigioso all'interno e incapace di tradurre le idee in iniziative concrete e coerenti. Il Monti politico è apparso subito un leader abortito: a disagio e incapace di integrarsi con i maneggi dei palazzi romani, ha finito per venire inesorabilmente marginalizzato anche nel suo partito. Ora ritorna a Bruxelles: si occuperà di progettare un sistema per finanziare le istituzioni comunitarie con tasse e risorse proprie

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