lunedì 24 febbraio 2014

La proposta autogoal di Delrio di tassare i Bot

L'idea di aumentare la tassazione sui rendimenti dei Bot ( attualmente al 12,5%) proposta dal sottosegretario Delrio è alquanto inopportuna: colpirà sopratutto le famiglie e i piccoli risparmiatori, mentre i grandi investitori hanno la possibilità di acquistare i titoli emessi all'estero, in particolare in Lussemburgo dove c'è una tassazione più favorevole. Inoltre la maggiore tassazione porterebbe a un innalzamento dei tassi di interesse richiesti dal mercato, per cui potrebbe persino rivelarsi una misura in perdita per le casse pubbliche. Ma anche l'annuncio ( sia pur smentito da Renzi) potrebbe avere effetti, sia pure contenuti, di rialzo dei tassi al momento delle nuove aste per collocare i titoli. Di membri del governo che si mettono a fare dichiarazioni in libertà su temi così delicati non se ne sente proprio il bisogno. Se il buon giorno si vede dal mattino, l'esordio non è certo di quelli incoraggianti

martedì 18 febbraio 2014

Letta-Renzi a Palazzo Chigi. Staffetta in stile democristiano

Il bilancio del governo Letta è stato molto deludente: pur potendo disporre di margini di manovra ben maggiori di chi l'ha proceduto grazie all'uscita dalla procedura di infrazione comunitaria e all'abbassamento dei tassi di interesse sul debito pubblico, sono stati prodotti  risultati ben modesti sia sul piano delle riforme che della politica economica, aumentando l'IVA al 22%, incartandosi sull'IMU, non riuscendo ad incidere sul cuneo fiscale e sulla spending review.
La sua sostituzione era dunque opportuna ma lasciano molto perplesse le modalità da manovra di palazzo con cui ciò è stato fatto da Matteo Renzi: dopo aver assicurato a gennaio il suo sostegno a Letta con l'ormai celeberrima frase "Enrico stai sereno", venti giorni dopo il segretario del PD gli dava lo sfratto da Palazzo Chigi per insediarvisi a sua volta come nuovo inquilino. E poichè spesso la forma diventa sostanza non c'è da stupirsi se gli alleati di Renzi al governo, abbiano accolto la staffetta con iniziale diffidenza. Speriamo almeno che la sua smisurata ambizione  porti a risultati misurabili e positivi per gli italiani.

giovedì 13 febbraio 2014

L'acqua calda di Friedman su Monti e Napolitano

Nell'estate del 2011 in un contesto globale di grave crisi finanziaria avevamo un governo in cui il presidente del Consiglio Berlusconi e il suo ministro dell'economia Tremonti litigavano su come portare avanti la politica economica del governo. I due si sopportano a stento e Berlusconi più tardi lo avrebbe accusato di tramare contro di lui per farlo dimettere. A giugno la banca centrale europea chiede misure che consentano al nostro Paese di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. Ma la sfiducia dei mercati internazionali nei confronti dell'Italia cresce , si cominciano a svendere in maniera massiccia i nostri titoli di Stato, impariamo il significato del temine spread i cui livelli cominciano ad alzarsi dai 160 punti di fine giugno fino ai 350 punti di metà luglio. Le misure  italiane per arginare la speculazione vengono considerate insufficenti dalla BCE che il 6 agosto invia al governo una lettera che pur in un linguaggio diplomatico mette nero su bianco gli obiettivi che l'Italia deve obbligatoriamente raggiungere tra cui il pareggio di bilancio anticipato al 2013, l'introduzione di norme più stringenti sui licenziamenti, liberalizzazione dei servizi pubblici e delle professioni. Gli interessi sui nostri titoli continuano a salire fino ad arrivare all'8 novembre quando il rendiconto dello Stato viene approvato grazie ai soli voti dell'opposizione e lo spread raggiunge la quota record di 575 punti.
Un Paese ostaggio della speculazione finanziaria, con un governo senza maggioranza e succube degli eventi. In questa drammatica situazione il presidente della Repubblica sondò già in estate la disponibilità di Mario Monti a diventare in caso di necessità presidente del Consiglio. Secondo il giornalista Alan Friedman questi contatti riportati nel suo libro, sarebbero una clamorosa rivelazione che riscrive la storia recente italiana. Per me invece è una non notizia,data l'evidente inadeguatezza del governo Berlusconi e il dovere del Presidente della Repubblica di trovare alternative per fare uscire l'Italia dal pantano e per garantire la continuità della legislatura. Senza dimenticare che Monti ha ricevuto la fiducia per il suo governo dal Parlamento, non da Napolitano. Ma l'esercizio della memoria non è mai stato particolarmente coltivato in Italia e dunque non stupisce che non ci si ricordi cosa accadeva in quella difficilissima estate del 2011.

lunedì 3 febbraio 2014

Il decreto sulle quote di Bankitalia: una fregatura per il contribuente

Sono stato spesso critico nei confronti del Movimento 5 Stelle ma il linciaggio mediatico che sta subendo in questi giorni mi sembra un tentativo di nascondere fatti molto gravi all'attenzione dell'opinione pubblica. La gazzarra inscenata dai grillini alla Camera dopo la votazione del decreto Imu-Bankitalia è certamente censurabile ma non si deve ignorare il fatto che nel merito essi si opponevano alla ricapitalizzazione con le riserve statuarie della quote di Banca d'Italia in mano alle banche private, un operazione che è stata definita una "porcata" dagli autorevoli economisti di NoisefromAmerika, non certo sospettabili di collusione con i pentastellati.
Lo scopo del contestato provvedimento sarebbe quello di ricapitalizzare le banche italiane in modo da renderle più aderenti agli standard di Basilea 2 richiesti dalle autorità europee e di assicurare, attraverso la tassazione della plusvalenza derivata dall'aumento di capitale sulle quote di Bankitalia, un entrata fiscale stimabile in circa 1-1,15 miliardi di euro con cui si andrebbe a coprire il mancato ricavo erariale derivante dalla cancellazione della seconda rata IMU.
Il punto cruciale sta nel fatto che l'aumento di capitale per 7,5 miliardi di euro delle quote di bankitalia in mano anche alle banche private viene finanziato tramite le riserve statuarie, che sono pubbliche in quanto frutto dei ricavi ottenuti dalle attività che la banca centrale svolge in monopolio, come ad esempio il battere moneta. Questo denaro non arriverà direttamente alle banche ma verrà scritto come immissioni di nuovo capitale sui loro bilanci. Potrebbe rimanere come mera operazione contabile se non fosse per due fondamentali particolari:
1) i dividendi cui le banche azioniste hanno diritto, che possono arrivare fino a un tetto massimo del 6% del nuovo valore nominale delle quote. Attualmente il dividendo previsto è di circa l'1% e finchè il capitale era rimasto a 156mila euro, per il Tesoro si trattava di sborsare poche migliaia di euro l'anno. Ma con la nuova ricapitalizzazione i dividendi da versare crescerebbero in modo esponenziale. Il calcolo è presto fatto: le banche potrebbero ricevere circa 70 milioni con il dividendo attuale all'1% e fino a un massimo di 450 milioni l'anno, un vero regalo in quanto la rendita è proveniente da attività con cui i banchieri privati non hanno nulla a che fare.
2) le quote azionarie di Bankitalia diventano trasferibili e con la nuova legge che prevede per le banche private una partecipazione azionaria massima del 3% le quote in eccesso dovranno essere rivendute. Quale sarà il prezzo che l'acquirente dovrà sborsare non si sa: sarà il mercato a stabilirlo. Il problema è che l'acquirente probabilmente sarà il Tesoro che dovrà dunque sborsare soldi pubblici alle banche per riprendersi le quote ricapitalizzate con le sue riserve.
In definitiva per ricavare subito una somma sicura il governo ha esposto il contribuente al rischio di dover pagare cifre molto ingenti in futuro.
Assai discutibile è anche il modo con cui si è giunti all'approvazione del decreto tramite la cosidetta "ghigliottina", sistema con cui il presidente della Camera Boldirini ha proceduto all'immediata votazione del decreto, rendendo vano l'ostruzionismo dei grillini che cercavano di allungare il dibattito fino alla mezzanotte, termine a partire dal quale il decreto sarebbe decaduto per mancata conversione in legge entro i 60 giorni utili. La ghigliottina è prevista dal regolamento del Senato ma non da quello della Camera e nell'utilizzarla in assenza di una norma scritta che la prevedesse ci si è fatti scudo sull'interpretazione per analogia da parte della presidenza dell'Assemblea. Un'autentica forzatura delle procedure a favore del governo portata avanti da chi avrebbe il dovere di essere al di sopra delle parti.
Ma il polverone scatenato con la rissa in Parlamento scatenata dalla protesta dei 5 stelle cade proprio a fagiolo: del danno per i contribuenti provocato dal decreto Bankitalia e delle modalità con cui è stato fatto divenire legge evidentemente non è opportuno parlare troppo.

Il declino politico di Mario Monti

La figura di Mario Monti è l'esempio paradigmatico di come l'uomo di Stato spesso non riesca ad andare d'accordo con l'uomo politico. Nella sua attività da presidente del Consiglio Monti ha fatto cose molto migliori di chi lo ha preceduto, salvaguardando i conti pubblici dalla crescita dei tassi di interesse sul debito che rischiava di alzarsi in maniera incontrollata, introducendo una riforma pensionistica che pur imperfetta e con il grave costo sociale degli esodati ha reso il sistema previdenziale sostenibile con il passaggio definitivo al contributivo e con l'eliminazione delle pensioni di anzianità, e restituendo all'Italia prestigio internazionale.
Monti ha fatto quel lavoro sporco, lasciato in arretrato dai politici di professione in cerca di facile e immediato consenso. Le sue misure erano impopolari tanto più in un contesto di crisi economica. In più la scelta di compagni di viaggio oramai logorati come Casini e Fini non ha giovato a rendere appetibile il suo progetto politico. Al momento del voto gli italiani hanno scelto o i tradizionali schieramenti o l'alternativa protestataria di Grillo. Successivamente il suo movimento Scelta Civica si è anche mostrato litigioso all'interno e incapace di tradurre le idee in iniziative concrete e coerenti. Il Monti politico è apparso subito un leader abortito: a disagio e incapace di integrarsi con i maneggi dei palazzi romani, ha finito per venire inesorabilmente marginalizzato anche nel suo partito. Ora ritorna a Bruxelles: si occuperà di progettare un sistema per finanziare le istituzioni comunitarie con tasse e risorse proprie