domenica 26 agosto 2012

Le differenze tra Zagrebelsky e Travaglio

Sulla decisione del presidente Napolitano di proporre davanti alla Corte Costituzionale conflitto di attribuzioni contro la procura di Palermo in merito alla mancata distruzione delle intercettazioni avvenute tra il Quirinale e Nicola Mancino un giudizio critico arriva dall'autorevole voce dell'ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky.
Tuttavia al contrario di quanto sostiene Marco Travaglio, Zagrebelsky non ha fatto a pezzi l'iniziativa quirinalizia, ma ha espresso un valutazione di opportunità reputando che una pronuncia dall'esito, a suo dire, scontato a favore del Presidente abbia come conseguenza la delegittimazione dell'intera azione dei magistrati palermitani a favore della ricerca della verità sulla trattativa tra Stato e mafia. Perciò secondo Zagrebelsky , Napolitano avrebbe dovuto risolvere il problema affidandosi alla procedura ordinaria.
Zagrebelsky mi sembra però trascurare che è stata proprio la procedura ordinaria invocata dalla Procura di Palermo ad innescare il conflitto. Da qui l'iniziativa del capo dello Stato di sollevare la questione dinanzi alla Consulta per verificare se le intercettazioni anche indirette non costituiscano una violazione delle prerogative presidenziali. E i timori di Zagrebelsky non mi sembrano fondati anche perchè l'oggetto del ricorso riguarda intercettazioni che per stessa ammissione dei magistrati non hanno alcun rilievo penale, e dunque non vanno ad intaccare minimamente la sostanza dell'indagine.
Ma tra Travaglio e Zagrebelsky oltre a quella dei contenuti c'è un'altra divergenza non di poco conto. Zagrebelsky espone le sue tesi con solide argomentazioni e civile rispetto delle divergenze di opinioni. E' ben lontano dalla sua indole rivolgersi ai suoi colleghi giuristi con l'epitteto di "corazzieri belanti che (...)dimenticano la legge, la Costituzione, perfino la decenza e il ridicolo". Una differenza di forma che in questo caso fa anche sostanza.

martedì 21 agosto 2012

I cervelli in fuga producono brevetti per un miliardo di euro all'anno

Secondo uno studio dell’Istituto per la Competitività (I-Com) valgono oltre un miliardo di euro i brevetti prodotti nell'ultimo anno dai 50 migliori ricercatori italiani costretti ad emigrare. Brevetti depositati all'estero e che il nostro sistema produttivo si vede sfuggire a causa della mancanza di investimenti nella ricerca con un'università in mano ai baroni che non valorizza certo il merito e i giovani talenti. Questo è il prezzo da pagare a decenni di politiche miopi che continuano a negare l'utilità e il valore ( anche economico) degli investimenti in conoscenza.
D'altronde i nostri cervelli in fuga, se fossero rimasti in Italia non avrebbero mai trovato le occasioni per mettere a frutto il loro ingegno e giungere alle scoperte poi brevettate.

domenica 19 agosto 2012

L'Ilva di Taranto. La magistratura eterna supplente della società italiana

Tutti( o quasi) contro il gip di Taranto Patrizia Todisco che ha rimosso il presidente del cda dell'Ilva Ferrante dall'incarico di curatore dello stabilimento tarantino e ha posto sotto sequestro gli impianti. Secondo i critici la decisione di bloccare la produzione all'Ilva di Taranto rischia di provocare la morte della più grande acciaieria d'Europa con gravi danni per tutta l'economia nazionale.
Peccato che questi tutori degli interessi nazionali non abbiano esercitato lo stesso zelo in tutti gli anni in cui l'Ilva scaricava sulla città di Taranto i suoi rifiuti inquinanti provocando centinai di morti per tumori e malattie cardio-respiratorie.
Politici, sindacalisti e opinione pubblica in generale sono rimasti inerti di fronte all'odioso ricatto che voleva il diritto alla salute messo in un angolo dalla prepotenti esigenze della produzione industriale.
La vicenda dell'Ilva di Taranto è semplicemente lo specchio di un Paese in cui la magistratura è costretta a intervenire per supplire le altrui mancanze. Mentre in una società civile non ci dovrebbe essere bisogno di un gip per ribadire quanto sia inacettabile l'alternativa tra morire per fame o per tumore.