venerdì 20 luglio 2012

La lesa maestà dei costituzionalisti verso Marco Travaglio

Il giornalista Marco Travaglio si è creato abbondante fama e seguito di lettori come difensore della libertà di stampa, e per essere coerente con il suo ruolo quando qualcuno ha opinioni diverse dalle sue ci tiene a difendere la sua libertà ( non quella degli altri) buttandola sul personale. L'ultima perla libertaria del nostro eroe è un articolo intitolato "Romanzo Quirinale" pubblicato sul Fatto quotidiano del 18 luglio. Poichè le sue tesi critiche nei confronti del ricorso quirinalizio alla Corte Costituzionale contro i pm di Palermo sono state demolite da autorevoli costituzionalisti, gli incauti esperti di diritto che hanno osato contraddire l'infallibilità del Travaglio vengono ridotti al rango di (testuali parole) "corazzieri belanti che (...)dimenticano la legge, la Costituzione, perfino la decenza e il ridicolo pur di dare ragione al nuovo Re Sole intoccabile". Ma quali sono le argomentazioni che stanno alla base di un giudizio così acido e sprezzante? Travaglio comincia la sua invettiva nei confronti dell'ex presidente della Consulta Ugo de Siervo, il cui cognome viene storpiato con la consueta eleganza in De Siervi e l'altro presidente emerito Cesare Mirabelli che hanno il torto di aver posto un problema legittimo: se si ammette l'utilizzabilità delle intercettazioni indirette si può facilmente aggirare il divieto di intercettare il capo dello Stato.
Riguardo poi al trasferimento degli atti al tribunale dei ministri  così argomenta Travaglio

de Siervo aggiunge che la Procura di Palermo ha fatto “indagini interminabili” (forse dimentica che le inchieste di mafia hanno una durata massima di 2 anni, termine rispettato dai pm) e “avrebbe dovuto trasferire tutta la questione al competente Tribunale dei Ministri”, come B. chiedeva di fare per Ruby nipote di Mubarak. Lo dice pure Stefano Ceccanti del Pd (l’Unità). Forse De Siervo e Ceccanti non sanno che nessuno degli indagati è accusato di reati commessi quand’era ministro e nell’esercizio delle funzioni ministeriali, a meno di ritenere che Riina, Provenzano, Brusca, Cinà, Ciancimino jr., Dell’Utri e gli altri indagati fossero ministri ai tempi della trattativa. Si dirà: erano ministri Conso e Mancino. Certo, ma non sono indagati per la trattativa, bensì per aver mentito oggi, 20 anni dopo, da pensionati. Urge istituzione del Tribunale degli Ex-Ministri
Peccato che Ceccanti  nel suo articolo avesse già replicato a tale obiezione: "L’unica argomentazione contraria che è stata trovata è quella di sostenere che gli indagati lo sarebbero in realtà per false testimonianze di oggi, quando non sono ministri, ma è evidente a tutti che, nel caso, quelle false testimonianze si riferiscono ai reati ministeriali di allora e non sono pertanto affatto separabili da essi. 
Ma Travaglio si è evidentemente dimenticato (?????) di  riportarla. O forse aveva letto male.

Proseguendo nella lettura le argomentazioni del Travaglio appaiono ancora più sorprendenti
 Per superare l'imbarazzo di sostenere, in coro coi berluscones, l’attacco frontale di Napolitano alla Procura che indaga sulle trattative che costarono la vita a Borsellino e alla scorta nel ‘92 e a tanti cittadini innocenti nel *95, il tutto alla vigilia del ventesimo anniversario di via D’Amelio, i corazzieri di complemento minimizzano il conflitto di attribuzioni come se fosse una disputa accademico-giuridica: che sarà mai, c'è una divergenza di opinioni fa il Colle e la Procura, dovuto a un “vuoto normativo". ora la Consulta dirà chi ha ragione e tutti vivranno felici e contenti. Eh no, troppo comodo, Intanto, se ci fosse un vuoto o un’imprecisione normativa, il Quirinale avrebbe dovuto investire la Consulta con un  altro strumento: l’eccezione d'incostituzionalità della norma col buco, non il conflitto di attribuzioni in cui accusa i pm di un illecito gravissimo, da colpo di Stato: la lesione delle prerogative del Capo dello Stato.
Il sommo costituzionalista Marco Travaglio ignora che l'eccezione di incostituzionalità come regolata dall'articolo 23 della legge 11 marzo 1953 n° 87, stabilisce, che essa può essere proposta nel corso di un processo e deve essere il giudice a chiederla, d'ufficio o su inziativa di una delle parti o dei pubblici ministeri ( in questo caso i pm di Palermo). In questo caso il Capo dello Stato non è parte nel processo quindi non può presentare alcuna eccezione mentre può proporre il conflitto di poteri visto che a buona ragione considera le intercettazioni una violazione dell'indipendenza della sua funzione presidenziale. Se davvero risulterà che i pm palermitani non hanno potuto distruggere le intercettazioni in virtù di un vuoto legislativo, nel corso dell'esame i giudici costituzionali non avranno problemi a rilevarlo. Ma forse Travaglio teme che i magistrati di Palermo lo abbiano fatto davvero un illecito gravissimo, la lesione alle prerogative del Presidente. Sembra che per Travaglio i magistrati che indagano sulle stragi dovrebbero essere immuni dalle conseguenze di un'eventuale violazione della Costituzione. Io la penso in maniera diametralmente opposta: i pm proprio perchè svolgono un inchiesta così delicata devono avere il massimo rispetto per la nostra Carta; a garanzia del corretto andamento del procedimento e affinchè non si ripetano i clamorosi errori del passato nella valutazione delle responsabilità penali.

Chi si aspetta il botto nel ragionamento a conclusione dell'articolo, non rimane deluso:
Nell`ansia di compiacere il Re Sole, i corazzieri grandi firme si scordano di sciogliere alcuni nodi, Li buttiamo li a futura memoria. 1 ) L’art.  90 della Costituzione stabilisce che "il Presidente della Repubblica non é responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni", ed e lui stesso a dirci che è anche il caso delle due telefonate con Mancino altrimenti non sbandiererebbe la sua irresponsabilità ai quattro venti, Ma siamo sicuri che il "prendere a cuore“ (D’Ambrosio dixit) le lagnanze di Mancino e il darsi da fare per favorirlo interferendo in un'indagine  in corso rientri tra le funzioni presidenziali? E, di grazia, quale articolo della Costituzione o quale norma dell'ordinamento lo prevede?
2) L'unica "parte" dell'inchiesta sulla trattativa che può avere interesse alla conservazione dei nastri con la voce di Napolitano e Mancino, visto che i pm li han gia definiti irrilevantit Dunque, invece di disturbare la Consulta, perché il Presidente non dice all'amico Mancino di mandare il suo avvocato ad ascoltarli e poi a chiedere al gip di distruggerli? Si rende conto che conferendo tutta quest'importanza a quelle bobine, si e consegnato mani e piedi nelle mani di un indagato per falsa testimonianza? Per svincolarsi dall'abbraccio mortale e dissipare il sospetto di ricatti e altre trattative in corso, non ce che un modo: rendere pubbliche le telefonate.
3) Napolitano si fa scudo nientemeno che di Luigi Einaudi, che secondo Repubblica lo avrebbe addirittura ‘ispirato" (gli sara apparso in sogno, nottempo). E proprio sicuro che Einaudi apprezzerebbe? Sicuro che, se gli avese telefonato un Mancino per quelle proposte indecenti, Einaudi gli avrebbe dato tanta corda, anziché staccargli il telefono in faccia? Un giorno Einaudi disse: "Non le lotte e le discussioni dovevano impaurire, mu la concordia ignava e le unanimità dei consensi?" Parole che oia suonano come un inammissibile attacco preventivo al Quirinale e ai corazzieri. Che facciamo, spediamo pure Einaudi alla Corte costituzionale?
Riguardo al punto 1) si constata che nonostante le comunicazioni tra Mancino e Napolitano siano segretate , Travaglio sembra conoscerne il contenuto: Mancino avrebbe elemosinato aiuto e Napolitano glielo avrebbe concesso. Al di là delle conoscenze reali ( in quel caso non si configura la violazione del segreto d'ufficio?) o immaginarie di Travaglio non c'è alcun intralcio alle indagini visto che per stessa ammissione dei magistrati palermitani il contenuto delle telefonate è penalmente irrilevante per il procedimento. Il punto che il nostro eroe sempre più in Travaglio continua a non voler considerare è che le comunicazioni del presidente della repubblica  non si possono intercettare a meno che non abbia commesso reati (e non è questo il caso)
Sui punti 2) e 3)  ammettiamo pure per assurdo che Napolitano sia stato così imprevidente da prestare il fianco all'indagato Mancino e che il suo riferimento a Einaudi sia del tutto fuori luogo, tali considerazioni riguarderebbero l'opportunità dei comportamenti del Capo dello Stato e non hanno nulla a che vedere con le valutazioni dei reietti costituzionalisti che invece erano di ordine giuridico e riguardavano l'ammissibilità delle intercettazioni alle comunicazioni dirette e indirette del Presidente della Repubblica.
Perchè al netto di tutto il castello mentale costruito da Travaglio il nodo centrale rimane semplice e banale: esiste un conflitto di poteri tra capo dello Stato e pm di Palermo che spetterà alla Corte Costituzionale risolvere. Ma se la Consulta dovesse dare ragione a Napolitano l'ami du peuple Marco Travaglio si è già portato avanti: i giudici sono amici o nominati del Presidente.
Dunque agli studenti di giurisprudenza d'ora in poi si insegni l'art 135 della Costituzione secondo l'interpretazione dell'esimio professor Travaglio: per diventare membri della Corte Costituzionale non serve essere magistrati, professori universitari di diritto o avvocati di comprovata competenza ed esperienza; occorre essere amici di Giorgio Napolitano.

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