domenica 29 aprile 2012

Disoccupazione al 24% e downgrade del debito: la Spagna sull'orlo del baratro

La Spagna ha annunciato che il tasso di disoccupazione del paese ha raggiunto il 24,4 per cento nel primo trimestre del 2012 - il tasso più elevato nella zona euro. la notizia del picco di disoccupazione fa seguito alla decisione della agenzia di rating Standard & Poor'S di declassare il rating del debito del Paese a BBB +, che pone la Spagna allo stesso livello dell'Italia.
Nonostante le misure di austerità del governo spagnolo Rajoy e le riforme del mercato del lavoro la Spagna rimane in preda alla recessione e con sempre maggiori difficoltà a mantenersi solvibile sotto il profilo del debito pubblico

giovedì 26 aprile 2012

Tra Hollande e Sarkozy: analisi e prospettive del primo turno delle presidenziali in Francia

Hollande con il 28, 63% dei voti; Sarkozy al 27, 18%: benchè interlocutorio il risultato del primo turno delle presidenziali francesi consente alcune riflessioni.
Il sistema elettorale francese a doppio turno si dimostra ancora efficace nel contenere le estreme ( l'ultradestra Marine le Pen e il comunista Melenchon) e nel creare i presupposti per un chiaro vincitore tra i due contendenti rimasti al ballottaggio.
Marine Le Pen con il 18% dei voti ottiene un notevole successo e cerca di prendere il posto del gollismo nella leadership a destra. Più abile del padre sul piano della comunicazione, se ne dissocia quando ci tiene a precisare che per lei le camere a gas del Terzo Reich non sono un dettaglio della storia. Ma rimangono i temi nazionalistici e antiimmigrazione. Una versione del Front National più politically correct e rassicurante, ma forse proprio per questo non meno insidiosa
Il giorno dopo il risultato elettorale le borse hanno reagito con pesanti ribassi: il timore è che con Hollande la spesa pubblica francese vada fuori controllo mettendo a rischio i conti pubblici. Per la verità la spesa e il debito pubblico sono cresciuti enormemente proprio con Sarkozy: in ogni caso è l'ennesima conferma del potere condizionante della finanza sulla democrazia

venerdì 20 aprile 2012

E se la salvezza di Grecia e Italia fosse far uscire la Germania dall'euro?

Il problema dell'euro non è la debolezza della Grecia, della Spagna o dell'Italia, ma la solidità della Germania: è questa la tesi "eretica" sostenuta da Michael Sivy in un articolo su Time Magazine.
Nel suo ragionamento assai interessante, Sivy contesta la teoria secondo cui uscendo dall'euro i paesi più deboli riuscirebbero a recuperare un po' in crescita economica svalutando la propria moneta. Il punto debole di questa strategia riguarda la fuga di capitali dai paesi più deboli verso la zona euro con conseguente innalzamento dei tassi di interesse e incapacità di questi Paesi presi singolarmente di sostenere il loro debito pubblico. Essi per potere sopravvivere debbono rimanere uniti ma nello stesso tempo hanno necessità di svalutare la moneta: e l'unico modo per prendere i due piccioni con una fava é quella di far uscire dall'Eurogruppo il partner più forte, Berlino che dal canto suo otterrebbe come vantaggio quello di poter sviluppare una autonoma politica economica senza più la zavorra degli altri Paesi meno competitivi.

martedì 17 aprile 2012

L'attacco talebano a Kabul e la geopolitica del bicchiere mezzo pieno-mezzo vuoto

Se fossi un'abitante di Kabul come dovrei reagire agli attacchi talebani che domenica hanno provocato circa 50 morti nella capitale?. Dovrei sentirmi preoccupato per la massiccia azione militare degli integralisti islamici oppure sollevato perchè dopo alcune ore di battaglia le forze di polizia afghane sono riuscite a rintuzzare la minaccia?
Difficile da dirsi anche perchè non sono un abitante di Kabul nè un afghano. Sono però un cittadino di uno Stato che partecipa alla coalizione ISAF e che dopo anni di intervento si sta chiedendo, senza ottenere risposte convincenti, quando finirà la guerra ( perchè di guerra si tratta) e chi la stia vincendo.

Le differenze tra Berlusconi e Monti

In questo periodo di crisi economica pagata a caro prezzo sul fronte della disoccupazione e della pressione fiscale vi è la tentazione di pensare che tra Berlusconi e Monti le differenze siano ben poche o addirittura che il cambio di inquilino a Palazzo Chigi sarebbe stato meglio non ci fosse mai stato.
Ognuno in democrazia ha il diritto di avere le proprie opinioni: personalmente credo che tra la politica dei condoni e dei capitali scudati e quella della tracciabilità della moneta, dei controlli antievasione sulle auto di lusso e dell'accessibilità degli estratti conti da parte dell'Agenzia delle entrate una qualche differenza ci sia.
Così come ritengo non irrilevante la discontinuità tra il beauty contest che assegnava gratuitamente le frequenze televisive e chi invece quelle frequenze le metterà all'asta. Ugualmente da tenere in considerazione le decine di miliardi di euro risparmiati dalla riduzione dei rendimenti sui titoli di Stato già avvenuta tra novembre e marzo.
In una democrazia è lecito e doveroso tenere alta la guardia della critica ma ugualmente necessario coltivare la memoria, altrimenti si lascia spazio ai danni fatti dai piazzisti che vendono l'illusione di un nuovo miracolo italiano

domenica 15 aprile 2012

Monti ritiri la tassa sulle disgrazie: è incostituzionale e recessiva

Con il ddl di riforma per la protezione civile il governo Monti ha riesumato "la tassa sulle disgrazie": in caso di calamità naturali le Regioni avranno la facoltà di introdurre un aumento di 5 centesimi dell'accisa sulla benzina per finanziare gli interventi con cui far fronte all'emergenza. Si tratta di un provvedimento che la Corte Costituzionale aveva già bocciato e che ora viene ripresentato non più sotto forma di obbligo per le Regioni di reintrodurre la tassa ma di scelta discrezionale.
Il governo dei professori dovrebbe cominciare a rendersi conto che usare l'aumento delle tasse sulla benzina coem tappabuchi universale per il dissestato bilancio pubblico danneggia pesantemente l'economia, giacchè non incide solo sulle tasche degli automobilisti, ma si riflette anche sull'aumento sui prezzi dei beni di consumi, con annesso rischio di ingenerare speculazioni. E' auspicabile un'immediata retromarcia e qualora ciò non avvenga una nuova pronuncia della Consulta che elimini questo assurdo e dannoso balzello

mercoledì 11 aprile 2012

Le contraddizioni della Turchia tra boom economico, laicità, diritti umani e rapporti con l'UE

La Turchia, Paese che durante la guerra fredda aveva un ruolo di semplice sentinella sul fianco sud della NATO è ora la locomotiva economica dell'Europa: la crescita del PIL della Turchia nel 2011 ( 8,5 per cento ) non è stato molto inferiore a quello della Cina . I progressi sono fortemente connessi con lo sviluppo urbano: Istanbul è passata dal milione e mezzo di abitanti del 1995 ai 12 milioni del 2012 ed è divenuto un dinamico centro finanziario.
I controversi giudizi sul partito al governo: Giustizia e sviluppo ( AKP) discende da un movimento apertamente islamico fondato nel 1960 ma rifiuta la definzione di partito islamista e da dieci anni al potere è la forza politica che ha saputo meglio incarnare questa rapida ascesa economica e sinora non ha intaccato la costituzione laica del Paese. Piuttosto si propone come un partito conservatore che guarda alla religione nella vita pubblica come come strumento più grande per rendere la Turchia più pienamente democratica. Una distinzione ambigua e sottile che non cessa di preoccupare i suoi critici. Il suo laeader e capo del governo Recep Tayyip Erdoğan anni addietro paragonò i fedeli a dei soldati e fu fotografo con capi militari afghani talebani ma deve la sua ascesa politica alle buone qualità di amministratore mostrate da sindaco di Istanbul.
La condizione femminile. Lo stato laico creato da Ataturk ha dato alle donne turche diritti e libertà assenti in molti altri paesi a maggioranza musulmana. Il suffragio universale è stato introdotto nel 1930, la legge islamica sostituita con codici di ispirazione europea, la poligamia proibita. Ma il partito AKP ha cercato di far reintrodurre l'uso del velo per le donne nelle università con una legge bocciata dalla Corte Costituzionale. Uno studio del World Economic Forum ha rivelato che il gap di genere in Turchia resta tra i più alti del pianeta: solo un quarto delle donne turche adulte lavorano. E secondo studi recenti il 42,5% delle donne sopra i 15 anni ha subito violenze fisiche o psicolgiche da mariti o compagni.
Una stampa parzialmente libera. per un verso c'è un discreto pluralismo dell'informazione con 35 testate nazionali e numerosi canali video via cavo e satellitari. Per contro il bacino di utenza dei giornali con 4, 5 milioni di lettori nel Paese resta molto ridotto.I proprietari dei media tendono a farne un uso strumentale al perseguimento di interessi finanziari esterni e a cercare di compiacere il governo, che oltretutto ha il potere di nomina del capo della televisione di Stato. Infine oltre 100 giornalisti sono attualmente in carcere per lo più per reati connessi alla libertà di stampa così come molti tra coloro in custodia cautelare sono attivisti curdi arrestati con l'accusa di favoreggiamento al terrorismo.
Il ruolo dell'esercito.Le forze armate turche nella loro missione di difendere il paese si sono preoccupate sopratutto di difendere il Paese dai nemici interni - identificati di volta in volta nel radicalismo politico, nelle forze religiose reazionarie o nel separatismo curdo. La Turchia in tre circostanze ha conosciuto un interregno con i militari direttamente al potere (1960-1961, 1971-1973 e 1980-1983) e nel 1997 i militari fecero pressioni sul governo di coalizione eletto del paese, causandone la caduta. Il governo Erdogan sembra essere riuscito a frenare questa invadenza degli ufficiali con la scoperta di una organizzazione di cospiratori nota come Ergenekon di cui facevano parte anche militari: il 15 per cento degli alti ufficiali sono ora sotto processo per aver complottato per rovesciare l'Akp dal potere, e anche gli organizzatori di un colpo di stato nel 1980 - compreso l'ex presidente Kenan Evren - sono anch'essi sotto processo .
Un islam a più facce. Accanto al sunnismo, i cui principi vengono insegnati anche a scuola e che costituisce la fazione islamica prevalente in Turchia, risiede una minoranza di Aleviti comprendenti almeno il 15 per cento della popolazione e che pratica una varietà dell'islam sciita che incorpora elementi di misticismo e religione popolare, e, in alcuni casi, mostra una indifferenza a molte delle pratiche connesse con l'Islam tradizionale - tra cui il digiuno obbligatorio durante il mese di Ramadan e persino il pellegrinaggio alla Mecca. Gli aleviti si considerano dei sostenitori della laicità dello Stato anche perché le istituzioni consentono loro di portare avanti con tolleranza la loro particolare cultura religiosa dissonante dall'ortodossia.
I Rapporti con l'UE.Da tempo la Turchia ambisce a diventare uno Stato membro dell'Unione Europea. Già nel 1959 aveva presentato domanda di associazione all'allora CEE e nel 1963 aveva siglato un accordo che doveva costituire il preludio all'adesione alla Comunità europea. Sono passati 50 anni ma passi in avanti non se ne sono fatti: nel 2005 i negoziati tra Ankara e Bruxelles si sono conclusi con un nulla di fatto. Dal 1996 la Turchia ha costituito con l'Unione europea un Unione dogonale che consente il libero scambio tra prodotti europei e turchi. Ma Fintanto che la Turchia non è un membro a pieno titolo dell'UE, rimane al di fuori delle decisioni del Consiglio dell'UE anche per ciò che riguarda l'Unione doganale. Ciò significa che Ankara applica un regime tariffario dell'UE su cui non ha voce in capitolo, e che il suo commercio con i paesi extraUE viene regolato a Bruxelles. La Turchia è il quinto Paese di destinazione per le merci europee esportate. E infatti tra i fautori dell'ingresso del Paese nell'Unione vi sono coloro che guardano con interesse all'incorporazione di un mercato molto promettente per le merci e i prodotti finanziari del vecchio continente

martedì 10 aprile 2012

Piazza Affari crolla. Le banche italiane sul banco degli imputati.

Piazza Affari crolla (-5%), lo spread risale a 400 punti e i titoli delle banche vanno in picchiata. Come interpretare questa improvvisa turbolenza finanziaria dopo mesi di relativa quiete? Per provare a dare una risposta è necessario individuare i bersagli dell'inquietudine dei mercati. L'occasione è stata fornita dalle notizie poco incoraggianti sulla crescita in Cina e negli Usa. Ma non è un caso che tra le borse europee, Milano abbia fatto registrare il tonfo più sordo né che le azioni di istituti di credito come Unicredit e Intesa San Paolo abbiano registrato perdite dell’8%.
Sul banco degli imputati ci sono le banche italiane che hanno ricevuto finanziamenti al tasso di favore dell’1% utilizzandoli per operazioni speculative di acquisto di titoli di Stato o per riscattare le loro obbligazioni invece di immettere liquidità nel circolo produttivo. Le banche non stanno facendo il loro dovere per rilanciare la crescita. C'è da sperare che quello di oggi sia solo un avvertimento e non il segnale di una più vasta perdita di fiducia verso le capacità dei nostri istituti di credito che rischierebbe di avere pesanti ricadute sull'intero sistema economico italiano. Ma soprattutto è venuto il momento che anche il governo Monti cominci ad alzare la voce per richiamare la finanza nostrana ad una chiara assunzione di responsabilità.

giovedì 5 aprile 2012

Le dimissioni di Bossi da segretario della Lega e le ombre sul futuro del partito

Umberto Bossi
Le dimissioni di Umberto Bossi da segretario della Lega segnano il capitolo finale della degenerazione della Lega da movimento di lotta a partito invischiato nelle opacità del palazzo. L'episodio che ha determinato il passo indietro del Senatur è l'indagine a carico del tesoriere del Carroccio Francesco Belsito che secondo l'accusa stornava i soldi provenienti dai rimborsi elettorali verso attività del tutto estranee all'attività del partito ivi compresi gli affari privati della famiglia Bossi.
L'immagine del Carrocio appariva già da tempo sbiadita con la stessa dimensione dei rimborsi elettorali ( 22 milioni di rimborsi elettorali contro gli 8 effettivamente spesi) che destava non poco perplessità. E poi gli investimenti in Tanzania e Cipro, il nepotismo con l'ascesa nella gararchie del partito di Renzo il "trota" Bossi, figlio di Umberto, e scelte politiche discutibili sotto il profilo della trasparenza morale come quella di votare contro l'arresto di Cosentino, avvallata dal leader leghista in persona.
Il Consiglio federale leghista nell'accettare le dimissioni di Bossi lo ha nominato presidente: una scelta forse di cuore ma sopratutto necessaria per evitare uno sconvolgimento troppo repentino e difficlmente gestibile dall'interno perché il Senatur rimane il simbolo del partito e di una battaglia centralista a cui si vuole dare continuità.Nella speranza che gli sviluppi delle indagini non rivelino fatti ancor più compromettenti
Ma la sopravvivenza politica della Lega dipenderà dalla capacità dei suoi dirigenti di invertire drasticamente rotta rispetto alle ultime vicende, e dalla fiducia che i militanti avranno ancora verso un partito che aveva fatto della lotta alla corruzione uno dei suoi cavalli di battaglia ma che ora nel familismo e nel malaffare sembra essere sprofondato fino al collo.

martedì 3 aprile 2012

Myanmar: Aung San Suu Kyi vince le elezioni ma il potere dei militari resta saldo

Aung San Suu Kyi
In Myanmar (ex Birmania) vittoria nelle elezioni parlamentari per il leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi e per il suo partito Lega nazionale per la democrazia che ha conquistato 43 seggi su 44 disponibili.
Positive le reazioni internazionali alle elezioni, le terze con un minimo accenno di pluralismo democratico da quando nel 1962 l'esercito instaurò la dittatura.
L'Unione europea ha annunciato che vuol dare un segnale positivo riesaminando la sua politica di sanzioni contro la giunta militare al potere. E il primo ministro indiano Singh ha annunciato di voler visitare il Paese al più presto.
Il rischio che la comunità internazionale non deve correre e quello di farsi trascinare dall'euforia giacchè nonostante il successo elettorale dell'opposizione il Parlamento resta ancora dominato dal partito ei militari e dal blocco di seggi riservati ai membri non eletti delle forze armate. Dimenticare la repressione delle libertà e del dissenso compiute per decenni dai militari sarebbe la peggior risposa ai faticosi progressi verso la democrazia compiuti da Suu Kyi e dai suoi sostenitori.