venerdì 11 febbraio 2011

L'Egitto dopo Mubarak: le incognite della transizione e i timori dell'affermazione dell'islam politico

Il popolo ha detronizzando il Faraone. Dopo diciotto giorni di ininterrotta protesta di piazza Mubarak è stato costretto alle dimissioni. Le diplomazie occidentali si sono presentate impreparate di fronte alla rivolta delle masse egiziane al regime di Mubarak, il cui carattere repressivo è risultato ancora più insopportabile a causa di una crisi economica. Un incertezza manfestata da Hillary Clinton che aveva parlato di neccesità di un ordinata transizione, confidando nel vicepresidente Suleiman che stando ai cablogrammi pubblicati da Wikileaks veniva considerato un possibile successore di Mubarak. La confusione dell'amministrazione americana veniva evidenziata alcuni giorni prima dalla dichiarazioni di Franck Wisner inviato usa in Egitto in un intervista aveva dichiarato che Mubarak sarebbe dovuto rimanere per gestire al transizione. L'amministrazione si era affrettata a definire come personali le opinione di Wisner, mentre il giornalista dell'indipendent Robert Fisk scopriova che Wisner lavorava per unos tudio legale che che ha tra i suoi clienti il governo e l'esercito egiziano.
L'epilogo dell'era Mubarak consegna all'esercito il compito di gestire una transizione carica di incognite: con un Paese di 80 milioni di abitanti sospeso tra le speranze dei giovani (il 70% della popolazione ha meno di 30 anni) e il timore di una una evoluzione politica in senso islamista. Sullo sfondo gli influenti Fratelli Musulmani, che controllano il sindacato dei medici, degli ingegneri, degli avvocati e gestiscono l'assistenza agli strati più poveri della società egiziana. Un modello di presenza sociale che ricalca quello di Hamas, nato non a caso proprio dalla costola palestinese dei Fratelli Musulmani

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