sabato 12 dicembre 2009

Se l'antimafia pende dalle labbra di Spatuzza e Graviano

A chi bisogna credere a Gaspare Spatuzza, che dalle confidenze del boss Giuseppe Graviano avrebbe appreso che Berlusconi e Dell'Utri avevano consegnato l'Italia alla mafia, oppure al fratello di questi Filippo Graviano che ha smentito di aver mai conosciuto dell' Utri e di aver detto a Spatuzza che se non arrivavano aiuti dalla politica sarebbe stato necessario parlare con i magistrati? Il primo, pluriomicida e pluristragista da quando ha fatto il nome di Berlusconi viene portato all'onore delle cronache dagli esperti dell'antimafia e considerato dai magistrati persona i cui racconti hanno trovato riscontri e quindi in grado di riscrivere le verità sulla mafia. Ma se i criteri con cui sono stati effettuati i riscontri alle dichiarazioni di Spatuzza sono stati gli stessi seguiti per verificare il pentito Scarantino ( sbugiardato dallo stesso Spatuzza) c'è poco da stare allegri. Perché nonostante l'attendibilità di Scarantino fosse sin dall'inizio dubbia, le sue rivelazioni sono rimaste fino in fondo l'architrave per le condanne passate in giudicato per i processi delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. La lezione di Giovanni Falcone che vagliava con grande attenzione le affermazioni dei collaboranti è andata persa con i suo eredi. Rimane un mistero capire come mai l'organo di autogoverno della magistratura non prenda provvedimenti nei confronti di quelle toghe che hanno commesso una così clamorosa svista processuale, alcuni dei quali sono proprio coloro che avvalorano le dichiarazioni di Spatuzza.
Dall'altra parte invece si colloca Filippo Graviano che avendo smentito il racconto di Spatuzza diviene secondo Dell'Utri persona di sorprendente dignità; invece per il direttore del TG1 Minzolini si tratterebbe della prova che Spatuzza racconta delle bugie. In merito a quest'ultima considerazione non si capisce per quale motivo Graviano, che tra l'altro non si è neppure allontanato da Cosa nostra, debba essere più attendibile di Spatuzza. Se ci si affida principalmente a galantuomini del calibro di Spatuzza e Graviano, l'antimafia finisce per ridursi ad arma polemica tra opposte fazioni politiche. Una contesa di cui purtroppo i magistrati sembrano essere attori pienamente consapevoli.

1 commenti:

Giorgio Frabetti ha detto...

Si è vero la lezione di Falcone deve essere più ricordata: ci vuole più rigore professionale con i pentiti.
E poi ci meravigliamo dell'uso politico dei pentiti! Quando la loro vita carceraria e processuale è gestita a piena discrezione dei Giudici: una legge organica sullo status del pentito (processuale e careceraio) ci vuole, non il PATERNALISMO BORBONICO che ci troviamo davanti.

P.S. Sul rapporto mafia-politica, comunque, sono state propalate da Travaglio e da Il Fatto patenti castronerie e contraddizioni.
Per un primo modesto tentativo di analisi, consiglio il link:
http://www.arezzopolitica.it/2009/12/02/lo-stato-e-la-mafia-nellannus-horribilis-1992-93-un-contributo-di-obiettivita-contro-il-pensiero-unico-antiberlusconiano-il-fatto-quotidiano-21112009/